Tredici scrittori nel pallone raccontano il «loro» calcio

«Ho parato un rigore a Pelè» è un'antologia di storie. Importanti autori italiani spiegano il loro legame e le loro vicende di vita vissuta in relazione allo sport più popolare e diffuso in Italia, proprio durante il campionato del mondo in Sudafrica

Mondiale che arriva, racconto che trovi. Tredici storie di vita vissuta, tredici modi per raccontare il proprio rapporto con il pallone al tempo di quando si era bambini. Tredici modi di raccontare le emozioni che trasmettono le partite, lontane o vicine che siano dai grandi campi illuminati dai riflettori dove quegli eroi alzano coppe e si cuciono scudetti sulla maglia, buttando appunto quel pallone in fondo a una rete. Tredici storie di vita vissuta, di cuori che si sono alzati paurosamente, che hanno battuto più forte o più piano e sono rimasti a lungo in fibrillazione per le sorti dell'amata squadra. E del suo inseguimento al gol. Tredici racconti che non raccontano una partita, un evento, un campione, un fuoriclasse, ma il legame con uno sport bistrattato ma irresistibile, che in queste settimane contrappone le nazioni. Niente club, dunque. Il campanilismo ha la forma di uno stato, un passaporto. Non città contro altre città.
E ora, a raccontare il pallone ci si mettono tredici scrittori dai nomi noti, familiari alle mani italiane che ne hanno sfogliato le pagine, si sono lasciati suggestionare o ne hanno criticato le trame. «Ho parato un rigore a Pelè» (Giulio Perrone editore, pp.128, 10 euro) è tutto questo e molto altro. E' un modo di raccontare e di raccontarsi, di trattare una passione e di rivelare come la si è vissuta. E allora ecco Raffaele La Capria che da napoletano verace confessa di non aver mai tifato per Maradona. Mosca bianca a Posillipo. O l'icona di una gauche chic e acculturata come Antonio Tabucchi che spiega di aver giocato sempre come ala destra. Per arrivare al magistrato Gianrico Carofiglio, apprezzato scrittore di casa nostra, il quale confessa la sua perenne emarginazione: «Quando si formavano le squadre io ero sempre fuori». E denuncia la scarsa stima pallonara degli amici della domenica. O l'autore cattolico Gian Paolo Serino che mette in parallelo le vittorie mundial e le sconfitte amorose. Storie di battaglie anche quelle, di colpi di scherma senza palloni ma con cuori femminili raramente infranti. O Raul Montanari che vede nella mamma un'interista feroce.
Storie di pallone e del pallone. Storie di improvvisati talent scout che leggono nei geni di Platini la stoffa del campione. Storia di una nazione di commissari tecnici capaci di mettere insieme formazioni sempre diverse. Storie di palloni mondiali, di serate passate inseguendo gol sognati e mai realizzati, tra «futbol bailado» e garage distrutti. Tra decibel che s'impennano nelle sere d'estate e la bandiera della Roma improvvisamente finita chissà dove quando serve. Quando tutto il mondo è paese.

E soprattutto il campanile sa di Italia, sa di tutti. Sa di noi contro il mondo, il resto del mondo. Proprio come oggi, in Sudafrica da campioni del mondo ma con un pronostico contrario. Già, cercando di parare un rigore a Pelè. Come dire, impresa storica.

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