Trombosi frequenti nei pazienti colpiti da tumore

Ignazio Mormino

In medicina, molte «novità», dall’Alzheimer al Parkinson, sono vecchie. Anche la frequenza di patologie tromboemboliche nei malati di cancro è stata descritta centocinquant’anni orsono (dal dottor Henry Trousseau, medico nell’Hopital de Dieu di Parigi); ma bene ha fatto il Dipartimento di emostasi e trombosi dell’Ospedale civile di Piacenza a dedicare all’argomento una giornata di studi, organizzata dal responsabile di quel dipartimento: il dottor Davide Imberti.
Egli ha voluto accanto alcuni maestri che dispongono, in proposito, di grandi casistiche come il professor Domenico Prisco dell’Università di Firenze e la professoressa Benedetta Donati del Policlinico Gemelli (entrambi presidenti del congresso). C’è stato infatti, vent’anni fa, un rinnovato interesse per queste problematiche. Non è un caso che la Società italiana di medicina interna abbia dato il suo patrocinio all’incontro scientifico di Piacenza.
Dice Imberti: «Lo stretto legame esistente fra neoplasie e trombosi ha una duplice importanza: il paziente oncologico è ad alto rischio di complicanze trombolitiche e la malattia tromboembolica può essere la prima manifestazione clinica di una neoplasia occulta».
Più facile, stando alla sua esperienza, la prima ipotesi. Il dottor Imberti, che ha visto più di cinquecento pazienti oncologici colpiti da trombosi, dà questa spiegazione: «le formazioni tumorali liberano una serie di sostanze ad azione protrombotica».
«La problematica clinica imposta dalla coesistenza di un tumore maligno e di fenomeni trombo-embolitici» aggiunge «è decisamente complessa. Per essere efficace, la gestione di questi pazienti deve essere polispecialistica: deve cioè coinvolgere specialisti di varie discipline: oncologi, ematologi, internisti, radioterapisti e in qualche caso anche chirurghi».
Il convegno di Piacenza ha permesso a molti dei suoi relatori (medici e ricercatori come Arvedi, Cavanna, Cavallotti, Civardi, Cuzzoni, Grandi, Lazzaro, Orlando, Valliva) di approfondire una realtà a più facce, non solo sul piano diagnostico e terapeutico ma anche sul piano epidemiologico.
Un dato parziale ma interessante è quello della casa-madre di Imberti: l’ospedale di Piacenza, che registra ogni anno 150 casi di trombosi venosa e sessanta embolie polmonari. L’incidenza di tumori maligni in questi pazienti è del 30 per cento. Le neoplasie più diagnosticate sono i carcinomi della prostata, del polmone e del pancreas. I tumori cerebrali sono all’ultimo posto (era un cancro dello stomaco quello scoperto dal dottor Trousseau più di un secolo fa).
La novità più stimolante riguarda la prevenzione. A Piacenza, molti autorevoli relatori hanno presentato i risultati ottenuti con l’eparina a basso peso molecolare: risultati positivi in oltre la metà dei casi. Si è parlato anche di nuovi preparati anti-trombotici «più efficaci e più sicuri».
Alcuni sono ancora allo studio, altri sono già entrati nella fase di sperimentazione clinica. Stando all’esperienza di Davide Imberti, gli anti-trombotici di nuova generazione dimezzeranno questa preoccupante comorbilità.


I nuovi studi su cancro e trombosi (malattie entrambe in forte crescita) vedono l’Italia nelle prime posizioni di una ipotetica classifica mondiale. Ciò dimostra che i nostri ricercatori studiano situazioni cliniche non frequenti, ma pericolose.

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