Ma troppa retorica rovina l’atmosfera: si rischia di ottenere l’effetto contrario

L’idea stessa di celebrazione richiede inevitabilmente una certa dose di retorica: non è pensabile festeggiare una ricorrenza qualsiasi, civile o religiosa, senza un po’ di enfasi. Bisogna però andarci con la mano leggera, fare molta attenzione a non esagerare, perché altrimenti si rischia l’effetto contrario, una reazione di tipo repulsivo. Come con i dolci: piacevoli e anche utili nelle giuste dosi, stucchevoli fino alla nausea quando se ne mangiano troppi. E l’impressione è con le celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia ci sia stata somministrata una overdose di retorica. Così si dà l’impressione che la retorica serva a coprire, con una mano di vernice tricolore, la sostanza. Che colpi di cannone e squilli di fanfare siano dovuti alla sensazione che chi ha voluto e organizzato le celebrazioni di quei valori in realtà non si senta sicuro del loro reale radicamento nella società. Tanto che si arriva alla denigrazione e alla condanna senza appello di chi - ad esempio alcuni leghisti ma non solo - non accetta di associarsi pedissequamente.
Ancora una volta in prima fila a compiere questa manichea divisione fra buoni e cattivi, fra bravi patrioti e infami anti-italiani, c’è come al solito, la sinistra. La quale non perde occasione per inventarsi dei «cattivi» e additarli al pubblico ludibrio al fine di chiarire che i «buoni», quelli dalla parte giusta sono loro e solo loro. Scusate, ma non erano gli stessi che per decenni e fino a non molti anni fa davano del fascista a chiunque scrivesse la parola Patria con la «P» maiuscola? E le più feroci critiche al Risorgimento non sono state fatte da quell’Antonio Gramsci padre del Pci e fondatore dell’Unità? Perché questa gente pretende di darci sempre delle lezioni, di dirci da che parte dobbiamo stare anche se loro cambiano continuamente posizione e ormai non ne hanno più una? Ci sono politici, giornali e intellettuali che, per una particolare forma di odio politico e personale nota come antiberlusconismo, non perdono occasione per sputtanare il Paese all’estero e disprezzano apertamente la maggioranza degli italiani che votano diversamente da loro. Ebbene sono gli stessi che oggi col ditino alzato ci intimano di «sentirci orgogliosi di essere italiani». C’è qualcosa che non va.
Mi chiedo, dunque, se non sarebbe stato meglio celebrare questa ricorrenza parlando di più e in termini più concreti del Risorgimento: raccontandolo, liberandolo dalla patina di glassa retorica dalla quale è stato ricoperto. Con lezioni, conferenze spettacoli, concerti, mostre, rassegne. Forse, ad esempio, qualcuno avrebbe potuto ricordare che Cavour, vero regista del processo unitario, progettava un’Italia federale e che la sua prematura morte permise al re Vittorio Emanuele II di creare invece uno Stato fortemente e assurdamente centralista, con tutti i guai che ne seguirono. Oppure, altro esempio, rivedere il dibattito su Roma capitale, decisione che 150 anni fa non era affatto scontata. Tutti tabù per una certa sinistra.

Ma chissà, forse, una volta riposte le coccarde nei cassetti e spenta l’eco delle fanfare si potrà anche serenamente e costruttivamente parlare perfino di queste cose. Nelle scuole, alla radio, alla televisione, insomma nel Paese e non solo fra gli storici.

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