Dal nostro inviato a Monaco di Baviera
Gianna Nannini, non sono un po' troppi?
«Che cosa?».
I «tutto esaurito» del suo tour tra Svizzera, Germania e Italia.
«In effetti ai tedeschi piace la mia voce, mi hanno scoperto proprio durante i concerti».
Forse perché è un po' wagneriana.
«Sì, wagneriana e anche sturm und drang... (sorride - ndr)
Qui all'Olympiahalle ha cantato davanti a oltre diecimila persone.
«Qualche tempo fa Ian Gillan dei Deep Purple (uno dei più grandi cantanti nella storia del rock - ndr) mi ha sentito cantare e poi mi ha invitato nei camerini per farmi i complimenti».
Non è stato l'unico incontro magico nella vita e nella carriera di Gianna Nannini che dal vivo è sempre più impressionante. Ha 70 anni ma probabilmente non ha mai cantato così bene, anzi non è mai stata così «dentro» le proprie canzoni. Nannini dal vivo è inesplicabile, talvolta deraglia, le capita di non seguire il tempo e poi di recuperarlo d'un soffio, s'infiamma e infiamma il pubblico. Arriva sul palco avvolta da un completo di pelle firmato Dior, la scenografia è tagliente e decine di catene scendono dal soffitto: «Sono sempre scatenata», scherza lei. Oltre due ore di concerto che inizia con una «specie di transfer musicale» e poi si accende subito grazie a 1983, contenuto nell'ultimo disco Sei nel l'anima (è proprio scritto così) ed è uno dei brani più autobiografici della sua storia: «Io non sono rinata nel 1983, sono proprio nata in quell'anno» spiega nei camerini dell'Olympiahalle prima di andare in scena. Le sue prove del suono, il cosiddetto soundcheck, era stato realmente «un flusso di coscienza musicale» alla vecchia maniera, con piccoli ricami, aggiustamenti, intuizioni artigianali e scambi di parole, impressioni, occhiate tra i musicisti. Una scena praticamente sempre più rara durante i concerti, che sono ormai un crocevia di software e di app con l'apporto virtuoso o manuale ridotto ai minimi termini. E, poco dopo, quando la sala si è riempita con l'ordine pacato tipico dei concerti in Germania, si è capito che comunque nel pubblico c'erano italiani, oggi si direbbe di «seconda generazione», magari di terza, ma la stragrande maggioranza erano tedeschi, che cantavano «bello e impossibile» in coro oppure scandivano «fe-no-me-na-le» con precisione chirurgica. Sarà così anche nei prossimi concerti in Italia dal 12 dicembre al Forum di Milano (replica il 17, già esaurito) fino al Palazzo dello Sport di Roma il 21 dicembre. E che Gianna Nannini dalla Contrada dell'Oca di Siena, classe 1954, esperienze rock persino con gli stravaganti e creativi Flora Fauna e Cemento di Mario Lavezzi, sia in un momento d'oro si capisce anche dalla sorprendente tenuta fisica, frutto di sicuro delle ore di triathlon e Pilates ma anche di una raggiante consapevolezza. Che tipo di concerto è? Beh i concerti di Gianna Nannini hanno linee guida stranote, ossia energia e ribellione. Ma stavolta c'è qualcosa di più.
Qual è la marcia in più di questa Nannini?
«È il più bel tour della mia vita, è come avere un cavallo al galoppo, non mi era mai successo prima».
Di certo nella band ci sono fuoriclasse come Davide Taglialapietra alla chitarra e, soprattutto, Simon Philips, batterista che in mezzo secolo ha suonato con Jeff Beck, i Toto, Michael Schenker e Mick Jagger.
«A lui piace la mia voce, che ritiene la più erotica del mondo, pensa un po'. E io trovo che alla batteria lui abbia un tocco inimitabile».
Insomma è la Gianna Nannini Band.
«Per fare rock bisogna essere dentro una band».
Bisogna anche suonare per davvero.
«Infatti è un concerto molto analogico. Si parla tanto di streaming, ma i concerti restano analogici».
Quale musica ascolta in questo periodo?
«Non ascolto tanta musica pop, preferisco classica e flamenco».
Italiani?
«Mi piace Anna, ma non seguo tanto».
C'è una tendenza quasi assoluta a fare «feat.», a unire due cantanti per un solo brano.
«Io sarei per l'abolizione dei duetti».
Addirittura?
«Sono una mercificazione dei follower».
Intende che sono una strategia per unire i fan di ciascun cantante e ottenere più streaming.
«Penso che un duetto per venire bene debba essere il frutto di un lavoro lungo e di una riflessione artistica».
Ma si possono fare o no?
«Sì certo, ma ci vuole sapienza e cura. Sapesse quante volte mi chiedono di fare feat., ho il telefono pieno di chiamate».
Dicono che abbia scritto un brano per Irene Grandi, candidata al prossimo Festival di Sanremo. E dicono si intitoli Microclima.
«Sì ho scritto per lei ma non so come si intitoli».
Ha avuto un anno particolare, con qualche infortunio.
«Sì mi sono pure rotta lo sterno».
Durante i suoi concerti ci sono sempre meno cellulari accesi in aria.
«D'altronde se hai il telefonino in mano come puoi applaudire?» (sorride - ndr).
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