Tutti i segreti del libro che Kubrick ha censurato (sbagliando)

Si fa presto a dire maniaco del controllo. Andate a chiedere a Neil Hornick cosa voglia dire finire nel mirino del proverbiale controllo kubrickiano

Tutti i segreti del libro che Kubrick ha censurato (sbagliando)

Si fa presto a dire maniaco del controllo. Andate a chiedere a Neil Hornick cosa voglia dire finire nel mirino del proverbiale controllo kubrickiano.

Più di cinquant'anni fa, nel 1969, Hornick all'epoca un trentenne appassionato di teatro ottenne da un editore indipendente una commessa per scrivere il primo libro di critica interamente dedicato al cinema di Stanley Kubrick. Il regista, che all'epoca ancora si prestava volentieri alle richieste dei giornalisti, accettò l'idea di buon grado. Anzi, promise perfino un'intervista faccia a faccia e fece avere a Hornick i suoi film in pellicola, noleggiandogli pure una sala di proiezione affinché li potesse guardare e riguardare con calma. Hornick si mise a scrivere di buona lena e in cinque mesi concluse il suo manoscritto. Era convinto di aver fatto un buon lavoro. Adorava i film di Kubrick, che considerava il regista americano più interessante, l'unico in grado di produrre film ad alto budget che fossero intelligenti, improntati a una visione personale e diretti con gusto sopraffino. È vero, era stato piuttosto critico nei confronti di Spartacus e di Lolita, film meno riusciti e un po' banali nella messinscena, ma si era profuso in complimenti sinceri per Orizzonti di Gloria, Il Dottor Stranamore e 2001: Odissea nello Spazio, opere vertiginose nella loro raffinatezza visiva e di una potenza intellettuale nientemeno che catartica. Con una buona dose di coraggio, Hornick spedì il manoscritto a Kubrick e si mise ad attendere la convocazione per l'intervista che avevano concordato. Seguì solo silenzio.

Chi prese la parola furono gli avvocati. Fecero sapere che Kubrick non aveva gradito il manoscritto e non poteva autorizzarne la pubblicazione. Qui stava l'inghippo. Il contratto che Kubrick aveva stilato per l'editore gli garantiva potere di veto sul testo: formalmente richiesto per assicurarsi di poter correggere eventuali errori fattuali, in realtà lo autorizzava a qualsiasi modifica. Hornick, pur mantenendo fermo il diritto di poter dire quel che pensava, si disse disponibile ad ammorbidire alcuni punti o a cambiare le frasi che avevano irritato il regista. Altri mesi di silenzio. Dopo molti solleciti, gli avvocati informarono l'editore che non c'erano nel testo punti precisi da cambiare: si trattava di un'impressione negativa generale, come se Hornick avesse redatto per ogni film «una sommatoria di pregi e difetti in cui i secondi finivano sempre per pesare più dei primi». Hornick, se voleva, poteva certo riscrivere tutto daccapo e sottoporre un nuovo manoscritto al vaglio di Kubrick.

Intendendo più che bene l'antifona, Hornick decise di tentare la sorte altrove: del resto, lui non aveva firmato nessun contratto ed era libero di proporre il proprio manoscritto ad altri editori. O così pensava.

Scoprì invece con orrore che il regista era pronto a «combattere con le unghie e con i denti» (e con un ottimo pool di avvocati) qualora il libro fosse stato annunciato presso altre case editrici. Hornick non aveva né voglia, né tempo, né soldi per intraprendere una battaglia legale contro Stanley Kubrick. Abbandonò il libro e tornò a occuparsi di teatro.

L'anno dopo, sugli scaffali delle librerie di Londra, Hornick adocchiò il primo libro di critica mai scritto sul cinema di Stanley Kubrick. Ma non era mica il suo. Un volume di Alexander Walker, un critico amico di Kubrick, steso con la piena collaborazione del regista. Si intitolava Stanley Kubrick Directs, ossia «Diretto da Stanley Kubrick». Mai titolo fu più appropriato.

Va da sé che il libro di Walker era un panegirico senza la minima ombra. E per questo infinitamente meno interessante del libro di Hornick.

The Magic Eye, questo il titolo del manoscritto soppresso, vede oggi finalmente la luce grazie a un'altra casa editrice indipendente, la Sticking Place Books.

Secondo il nuovo editore, Paul Cronin, la vicenda «mostra l'ossessione per il controllo di Kubrick portata alle sue estreme conseguenze». Secondo me dimostra anche diverse altre cose. Intanto, il grado di potere che Kubrick aveva già nel 1970: l'editore originale firmava un contratto capestro al solo scopo di compiacere il regista e tenerselo buono per progetti futuri. Kubrick non aveva investito nulla nel libro di Hornick eppure pretendeva un controllo assoluto. A leggere le clausole del contratto si resta scioccati: Kubrick si arrogava il diritto di correggere, alterare, cancellare qualsiasi frase ritenesse opportuno, a suo esclusivo e insindacabile giudizio, trattenendo l'uscita del libro finché il suo espresso imprimatur non fosse arrivato per iscritto, pretendendo pure di ripetere il tutto in ogni lingua straniera in cui il libro sarebbe stato tradotto. Poteva insomma anche cancellare il libro per un ghiribizzo, cosa che in effetti fece.

Sembrerebbe futile per un regista con alle spalle almeno un paio di capolavori conclamati perder tempo dietro alle opinioni di uno sconosciuto critico cinematografico. Si direbbe anche suscettibile, permaloso, e perfino insicuro quell'artista così tanto sensibile agli strali della critica. Ma non è di questo che tratta questa storia.

Il motivo per cui Kubrick fece naufragare il libro di Hornick non è l'eccessiva enfasi sui difetti di alcuni film. Ho letto il libro in anteprima e l'opinione critica di Hornick sul cinema di Kubrick è onesta, nel complesso positiva e con frequenti picchi di entusiastica ammirazione. Sì, anche quando loda un film, Hornick non manca mai di mettere in luce qualche passaggio meno fluido, qualche scelta registica un po' forzata, un effetto estetico imperfetto, ma non è questo ne sono convinto il problema che Kubrick aveva ravvisato in The Magic Eye.

Il punto è che il libro di Hornick presentava il lavoro del regista contestualizzandolo nell'impervio ambiente dell'industria del cinema di Hollywood, tra problemi di finanziamento e richieste degli organi di censura. Hornick offriva un ritratto reale dell'artista Kubrick, mentre Kubrick non aveva bisogno di realtà, aveva bisogno del mito.

Il libro di Hornick l'aveva colto in un momento molto delicato della sua carriera: dopo il clamore che Il Dottor Stranamore aveva causato nel dibattito politico americano e l'incredibile successo di 2001 nel panorama culturale internazionale, Kubrick aveva ricevuto la prima grossa battuta d'arresto con il naufragio del progetto su Napoleone Bonaparte. Fresco arrivato in casa Warner, Kubrick aveva bisogno di un nuovo successo per cementare la sua posizione nell'industria e presso la critica. Fin lì i suoi film avevano ricevuto recensioni generalmente positive, ma c'era sempre stata qualche voce, ahimè piuttosto influente, che non lo vedeva come questo gran maestro. Basti l'esempio di Andrew Sarris che inserì Kubrick nella categoria sprezzante «Più fumo che arrosto» del suo best seller del 1968 The American Cinema. Kubrick sapeva quale era la soluzione: come aveva manipolato la percezione della sua immagine pubblica disseminando nei comunicati stampa storie sul suo perfezionismo, la sua intransigenza, la sua originalità nel panorama hollywoodiano per facilitare l'effettivo raggiungimento di un tale status di artista visionario, così adesso doveva trovare un critico che lo lodasse incondizionatamente affinché diventasse una buona volta anche il cocco della critica. Hornick non si era dimostrato certo il candidato ideale. Il fido Walker avrebbe fatto molto più al caso suo.

E infatti come inizia Walker il suo tomo? Con un riassunto di tutti i tratti che caratterizzavano l'immagine mitologica del mirabolante Stanley Kubrick e una chiamata alla costruzione di un altro paradigma critico per tentare di imbrigliare un cinema così alto e complesso che fino a quel momento era sfuggito ai più. Dopodiché prosegue in discesa con 300 pagine di rose e allori.

Primo libro sul cinema di Kubrick, Stanley Kubrick Directs dette il via, proprio come Kubrick intendeva, all'esegesi estatica dei suoi film. Il controllo kubrickiano paga sempre.

Mentre leggevo The Magic Eye non potevo fare a meno di domandarmi: e se fosse uscito cinquant'anni fa? Cosa sarebbe successo alla reputazione critica di Kubrick? Sarebbe perdurato il mito del regista onnipotente? L'avrebbe reso più umano, allontanandolo dalla sfera del mito?

E uscendo ora, che effetto avrà? Sul suo autore, 85 anni il mese prossimo, ne ha diversi: «Riconoscenza per l'opportunità di sciogliere un grosso nodo irrisolto della mia vita, divertimento nel vedere la serenità dei miei anni crepuscolari disturbata così d'un tratto e... beh, un certo senso di rivalsa.

Il libro comunque non cambierà la reputazione di nessuno, men che meno quella del suo notevole ed esasperante soggetto d'indagine. Soprattutto, ecco, sì, provo un senso di meraviglia per i tortuosi modi con cui il passato ci riagguanta a tutti, prima o poi».

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