Tutti pazzi per il Salento: bello in piena estate, il massimo sino a giugno e dopo settembre. Ma questo vale per buona parte delle nostre destinazioni turistiche: di sicuro, sembra un secolo fa quando D'Alema e Buttiglione si incontrarono a cena al Bastione di Gallipoli (per la cronaca, il 7 agosto 1994) per stringere il patto anti-Berlusconi, mangiando frutti di mare.
Fu uno spot clamoroso per la suggestiva cittadina, il ristorante ovviamente e la cucina locale, che molti italiani considerano genericamente pugliese. Quella del Salento in effetti ha punti di contatto con le altre della regione ma esalta al massimo il concetto di cucina povera, frutto di tradizioni centenarie e di prodotti, provenienti soprattutto dalle campagne. Ai piatti contribuiscono il pesce (povero) dell'Adriatico e un po' di carne, preferibilmente di cavallo. È il regno della verdura coltivata o selvatica, anche per questo si spiega il dominio di osterie - trattorie - masserie con cucina sui ristoranti di vertice. Quattro per la cronaca le stelle Michelin: Già sotto l'arco a Carovigno, Il fornello da Ricci a Ceglie Messapica, Cielo a Ostuni e Quintessenza a Trani. I gourmet amano molto Bros a Lecce, il locale dei giovanissimi fratelli Pellegrino, con la loro cucina di contaminazioni persino con l'Oriente. Il che è provocazione in una terra come questa, come spiega Antonio Guida, figlio del Salento cresciuto in Francia, diventato grande all'Argentario e consacrato a Milano, alla guida del Seta, gioiello bistellato all'interno del Mandarin Oriental. «La nostra è una cucina di ingredienti, più di altre. Cerchiamo abbinamenti semplici, intensi che si scoprono da bambini grazie a mamme e nonne ai fornelli dice da noi si è sempre cucinato tantissimo e lo si continua a fare».
Nel lungo elenco di specialità da assaggiare per i neofiti del Salento, lo chef consiglia la frisa (un biscotto di grano duro) con il pomodoro, lo sciuttidu che è la gustosa peperonata locale, cicureddhe cu le fave nette (cicorie selvatiche con purea di fave), paparina e paparotta («È una ricetta propria della mia cittadina, Tricase» sottolinea Guida): la prima è papavero fritto in foglie, la seconda è il recupero per eccellenza a base di pane avanzato, legumi e cime di rapa, tutto fritto in olio di oliva che è storico vanto dell'area. Un primo? Ciceri e tria: la caratteristica sta nella cottura della pasta di semola di grano duro che viene in parte fritta e in parte bollita. Poi si unisce ai ceci cotti con olio extravergine, aglio, cipolla e aromi: un piatto antichissimo, Orazio ne parlava già nelle sue Satire (35 a.C.) Quanto al secondo, Guida impone l'assaggio dei pezzetti di carne di cavallo, cotti in terracotta con aglio, sedano, cipolla, salsa di pomodoro e alloro. Piatto ideale per un bel calice di rosso, magari Negroamaro.
Obbligatoria la segnalazione (campanilistica...
) dello chef di qualche locale per gustare questi piatti, nella versione tipica: I fornelli di Teresa a Tricase, la Taverna del Porto sempre a Tricase (e qui si gusta anche il pesce ovviamente) e Trattoria Iolanda a Lucugnano. Il migliore? «La tavola di mia madre, quando in estate torno a casa con la famiglia non tocco più una pentola: lei è molto più brava di me, sui piatti del territorio. E forse in generale in cucina...».
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