A Modena si cresce a pane e motori, è la terra delle auto veloci e del cibo lento come ricorda puntualmente lo chef Massimo Bottura, modenese di qualità. Metti piede nel museo Ferrari, ricavato nella fu officina di Enzo il Grande, e vieni folgorato da quelle sculture su 4 ruote, quindi senti una voce con il sole dentro che canta arie d'opera, e il naufragar è dolce in quella mare tutto italiano di nostre melodie, ugole e design. La voce è inconfondibile, è Luciano Pavarotti, icona sonora di Modena, il tenore dei tenori con una vita-romanzo che viene ripercorsa da un documentario in onda domenica 25 dicembre alle ore 22:40 nello Speciale del Tg1. Il documentario è a cura del giornalista Leonardo Metalli che l'ha intitolato Voglio vivere cosìe felice canto, e di fatto Big Luciano, scomparso nel 2007, visse come volle e con un desiderio di essere ed esserci che traspare dal suo canto: felice appunto.
È del 2019 il docufilm Pavarotti di Ron Howard, un ritratto con qualche nota di interesse, come le riprese del viaggio nella Pechino del 1986 con il cantante fra sciami di biciclette, non mancano dietro le quinte intriganti, ma non è un capolavoro, di sicuro manca di uno scavo. C'è dunque attesa per questo lavoro di Metalli che ha raccolto testimonianze di familiari e amici stretti, i compagni della briscola per intenderci. Scorrono immagini e filmati rari provenienti dagli archivi Rai, documenti inediti come i primi incontri dei Tre Tenori, Pavarotti, Domingo e Carreras, per il concerto alle Terme di Caracalla: un evento dopo il quale la lirica non sarebbe stata più la stessa. Riprese di vita quotidiana e qualche dietro le quinte aiuteranno a capire perché la gente impazziva per questa leggenda dalla risata contagiosa e d'una spontaneità disarmante, Pavarotti come nessuno riusciva a riempire teatri e stadi, più l'onda lunga dei 100 milioni di dischi venduti.
Si raccontano gli anni italiani e i decenni a New York dove divenne un dio, un po' come accadde a Franco Zeffirelli, forse perché Oltreoceano abbondano i vizi ma non muoiono certe virtù come quella di gioire del successo altrui, esaltando. Si racconta la vita sul e fuori dal palcoscenico tra passioni per i cavalli, i viaggi, la cucina. E le donne, visse in una sorta di gineceo. Ebbe due mogli, non in contemporanea ma in questo ordine Adua (si conobbero che lui aveva 18 e lei 17 anni) e Nicoletta, più qualche variazione sul tema (matrimonio). Ebbe quattro figlie, l'ultima ha 20 anni, e dieci segretarie. Era tanto Pavarotti, carisma puro, un professionista che per evitare di prendersi raffreddori facendo la spola Modena-Scala di Milano vide la figlia neonata che già aveva 8 giorni ci raccontò la signora Adua. «Vado a morire» diceva prima di andare in scena preso dall'ansia di prestazione di chi non vuole deludere il proprio pubblico.
Il film racconta il
Pavarotti ortodosso, il lirico puro, ma anche quello che strizza l'occhio al pop con il Pavarotti & Friends, l'aspetto dove si concentrava il documentario Howard creando asimmetrie nella narrazione, e anche una certa noia.
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