La videolezione del prof Saviano sul Festival di Sanremo "sovranista"

Quando la Rai lo invitava il Festival era cosa buona e giusta, quest’anno non se lo sono filato e allora Sanremo è cosa brutta, sporca e cattiva

La videolezione del prof Saviano sul Festival di Sanremo "sovranista"
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Da Gomorra al Festival di Sanremo. Col rischio di stonare. Mentre ieri sulla Rai Carlo Conti orchestrava la terza puntata dello show canterino, Roberto Saviano sul suo canale social se la cantava e se la suonava con la prima videolezione sul «festival completamente sovranista» che «censura» i macrocosmi a beneficio dei «microcosmi» in ossequio a, non meglio precisate, «direttive del governo». Il dotto monologo (a proposito di monologhi, secondo lo scrittore napoletano «A Sanremo hanno vietato i monologhi per paura di affrontare temi scomodi al potere di turno») è stato finora visualizzato 87.044 volte (raccogliendo però solo 5.906 «mi piace»). L’assolo di Saviano dura 19 minuti scarsi (in rete c’è chi sostiene di averlo ascoltato ben tre volte: «La prima per curiosità; la seconda per capire cosa volesse dire; la terza per essere sicuro di aver capito bene...»).

Per farla breve, il prof Saviano dopo aver premesso - con il suo modo di atteggiarsi sempre modesto e scevro da ogni accenno di prosopopea («adesso provo a fare una riflessione su questo, ma piano...») - sostiene che «studiare i festival di Sanremo significa passare in rassegna i capitoli della storia d’Italia». Addirittura. È evidente come già la premessa sia zoppicante; ma passiamo allo svolgimento del temino che giunge alla frase conclusiva, «Ridere è una cosa seria», dopo una web-arrampicata sugli specchi non da poco.

Saviano, si sa, è da sempre un soggetto politico che fa oscillare la freccia del barometro in base alle condizioni meteo a lui più o meno favorevoli. Amadeus e la Rai lo avevano invitato per la celebrazione di Falcone e Borsellino? E allora il Festival di Sanremo era cosa buona e giusta; Conti e la Rai quest’anno non se lo sono filato? E allora il Festival di Sanremo è cosa brutta, sporca e cattiva. Che nell’obiettiva analisi di Saviano ci sia un cicinin di attapiramento, magari figlio dell’autoreferenzialità del terzo «Roberto nazionale» (primi, ex aequo, risultano Baggio e Benigni)?

Ma veniamo a cuore dell’intervento di Saviano sul «festival completamente sovranista». In che senso «completamente sovranista»? Ecco la spiegazione: «Sovranista nel metodo». Cioè? «Tutto parte con un’intervista del novembre 2024 di Carlo Conti dove decreta tutto». Ma «tutto» cosa? «Quando Conti dice “Quello che mi piace è che ciò che è arrivato dai cantautori non è un più un macromondo che parla di immigrazione ma il micromondo della famiglia e dei rapporti personali molto intimi“». E dove sarebbe lo scandalo? Nel fatto che - secondo l’anamnesi di Saviano - ciò nasconderebbe la volontà (di chi? boh) di non parlare di «argomenti scomodi come immigrazione, guerre, criminalità...», ma solo di cose «rassicuranti» come l’amore.

L’attacco a «TeleMeloni» è evidente, anche se la premier non è mai nominata esplicitamente da Saviano. Del resto l’ultima volta che l’aveva fatto, era stata per insultarla con parole non degne certo di un «intellettuale che il mondo ci invidia», come sostengono i suoi amici di sinistra. E non a torto, almeno a giudicare da un’immagine che il 45enne «...

giornalista, sceneggiatore e conduttore televisivo italiano» (cfr Wikipedia) ha buttato lì, con nonchalance in apertura del post didattico: «Il festival di Sanremo è una tavola d’argilla su cui restano le orme del proprio tempo...». A dimostrazione che Saviano, solo che lo voglia, sa essere pure un grande poeta.

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