Era il 2 gennaio scorso quando un neonato è stato trovato nella culla termica della parrocchia San Giovanni Battista a Bari. Una mamma che non poteva tenerlo lo ha lasciato lì. Lì dove però qualcosa non ha funzionato. Dicono che forse la porta non è stata chiusa bene. Dicono che forse quel fagottino nella tutina a scacchi militari non respirava già più quando è stato lasciato lì. Forse. Chissà. Ma l'allarme non ha suonato. Il cellulare del prete collegato non ha squillato. Il sistema si è inceppato. E quando lo hanno scoperto, casualmente, il suo cuoricino aveva smesso di battere, per ipotermia. Un evento tragico che ieri è stato ricordato a chilometri di distanza, qui in Lombardia, durante il Consiglio regionale. Con uno scopo, preciso, dichiarato nell'interrogazione di Luca Paladini (Patto Civico) per avere chiarimenti dalla giunta su dove sono e, soprattutto, se funzionano le culle termiche nella nostra regione. L'assessore Guido Bertolaso (nella foto) ha spiegato che da un primo censimento fatto in Lombardia ne risultano attive 11 (l'elenco nel box qui a fianco) «ma - ha fatto notare - saranno senz'altro di più perché mancano tutte quelle che operano nel terzo settore che sfuggono al nostro censimento».
Di queste 11, 5 sono inserite nelle strutture ospedaliere. A Milano alla Clinica Mangiagalli, a Brescia agli Spedali Civili, a Cremona all'ospedale Maggiore, a Melegnano all'ospedale di Vizzolo Predabissi, infine a Varese all'Ospedale del Ponte. «Il tema è alla nostra attenzione - ha proseguito Bertolaso - lo stiamo seguendo e stiamo riorganizzando tutta quella che è la rete di un'iniziativa che fino ad oggi era appannaggio del terzo settore». Bertolaso ha raccontato che proprio dopo la tragica vicenda di Bari è andato «personalmente e senza preavviso» alla Mangiagalli, per verificarne il funzionamento. Qui «nell'arco di 5 minuti scattano i soccorsi». Da quando è in funzione - più di 10 anni - in due occasioni sono stati salvati i neonati lasciati. «Ma questo è solo un primo censimento - ha promesso Bertolaso - abbiamo organizzato un protocollo con il terzo settore» per avviare un più esteso monitoraggio. Quello che al momento è lasciato al progetto «Culleperlavita.it» che le ha censite in tutta Italia. E dove spiegano che «la culla per la vita è una struttura concepita appositamente per permettere di lasciare, totalmente protetti, i neonati da parte delle mamme in difficoltà nel pieno rispetto della sicurezza del bambino e della privacy di chi lo deposita».
In luogo facilmente raggiungibile, «garantisce l'anonimato della mamma che vuole lasciare il bambino ed è dotata di una serie di dispositivi (riscaldamento, chiusura in sicurezza della botola, presidio di controllo h 24 e rete con il servizio di soccorso medico) che permettono un facile utilizzo e un pronto intervento per la salvaguardia del bambino». E che non può non funzionare.
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