da Washington
Il nuovo Congresso di Washington nasce fra la Storia e il pettegolezzo. Con una primizia assoluta e con la rimasticatura di una vecchia vicenda, rinfrescata a uso polemico e di utilità personale. Una conseguenza immediata delle elezioni parlamentari del 2006 e il calcio dinizio della campagna presidenziale del 2008. Entrambe le novità, come è di moda da qualche mese, in campo democratico. La storia che fa Storia è il giuramento del neodeputato Keith Ellison, che è il primo musulmano a essere eletto alla Camera dei rappresentanti e, seguendo luso di un Paese religioso come gli Stati Uniti, ha detto il suo «lo giuro» posando la mano sul suo libro sacro, il Corano. Una scelta che ha sollecitato polemiche quando è stata preannunciata ma cui nulla in realtà ostava. Largomento dei critici era alquanto fragile: la Bibbia non sarebbe solo un libro sacro bensì il «condensato» di ciò che fa «americana» lAmerica. È stato facile opporgli che per questo cè la Costituzione e che comunque la mano sul Libro è un optional e non un obbligo: ci sono stati ottimi presidenti che si sono accontentati di mettersi una mano sul cuore. Parlamentari musulmani, del resto, ce ne sono già in tutti gli altri Paesi democratici dellOccidente, Italia inclusa e Gran Bretagna, probabilmente, in testa.
E ci sono anche esponenti politici che in gioventù hanno fatto qualche «esperimento» con la droga. Anche in America, dove quelluso certamente malsano è anche il più severamente perseguito. Bill Clinton ammise di aver assaggiato la marijuana e glielo perdonarono tutti i suoi elettori, compresa sua moglie che gli perdona, in realtà, ben altro. Ma il senatore Hillary Clinton è molto più severa, evidentemente, della ex first lady con quel nome e così ha lanciato i suoi strali intrisi di veleno su un collega, Barack Obama, che un tempo ammise di avere, ancor più indietro negli anni, assaggiato la cocaina. Incauto e non così megalomane da ambire alla Casa Bianca già ventenne, lo raccontò in un libretto di memorie in cui parlava soprattutto delle sue esperienze involontariamente multietniche, di figlio di un immigrato dallAfrica allevato dalla madre bianca nelle Hawaii «gialle». Parlava della sua solitudine, del senso di estraneità e del timore della segregazione e della tentazione non di una fuga in avanti ma del ritrarsi alla ricerca di radici di «uomo negro», mediante lesperienza della droga che è più comunemente usata dagli adolescenti di pelle più scura. Evidentemente se quando dirigeva da primo della classe una rivista studentesca delluniversità di Harvard non pensava che un improvviso vento nelle vele lavrebbe sospinto allalba del 2007 a ruolo di protagonista della prossima gara per la Casa Bianca. Nei sondaggi di casa democratica fino a questo momento sembrava una gara a due, con Hillary Clinton ancora in testa ma Barack Obama ormai alle sue costole. Poi qualcuno ha ripescato quella vecchia «confessione» (quattro righe del libro Sogni di mio padre) e Hillary è balzata sulloccasione risfoderando le sue unghie affilate in una condanna per direttissima. Obama sarebbe automaticamente squalificato, costituirebbe un cattivo esempio per la gioventù, farebbe meglio a ritirarsi subito dalla corsa.
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