Una "Valchiria" dark che sa commuovere

Il tenore Volle nei panni di Wotan: il finale sarà struggente. Spicca Camilla Nylund (Brunilde)

Una "Valchiria" dark che sa commuovere
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Il Teatro alla Scala somministra le quasi 16 ore di musica del Ring (o Tetralogia o Anello del Nibelungo) di Wagner in quattro puntate: l'Oro del Reno (Das Rheingold) è già stata consumato in ottobre, dal 5 al 23 febbraio va in scena La Valchiria (Die Walküre), la terza tappa è attesa in giugno con Sigfrido (Siegfried) e la quarta nel febbraio 2026 con il Crepuscolo degli Dei (Götterdämmerung). Metabolizzati gli oltre 900 minuti del Ring, dramma dopo dramma, i più arditi potranno consumare la colossale opera di Wagner in un sol boccone nel marzo 2026 quando il ciclo completo verrà proposto dall'1 al 7 marzo diretto da Simone Young e poi di nuovo dal 10 al 15 marzo diretto da Alexander Soddy: tutto accadrà in una settimana come desiderava Wagner che battezzò il Ring nel 1876. Questa nuova produzione è firmata da David McVicar e schiera i migliori cantanti wagneriani, che sono: Michael Volle (Wotan), punta assoluta, Camilla Nylund (Brunnhilde), Klaus Florian Vogt (Siegmund), Gunter Groissbock (Hunding), Elza van den Heever (Sieglinde). McVicar abbandona la lettura epic-fantasy scelta per l'Oro del Reno, e cala La Valchiria «in un mondo più oscuro», tale perché vi albergano esseri umani, pur eroici.

Vedremo «steli di pietra, così tipiche del nostro paesaggio in Gran Bretagna», ricorda ancora la scenografa Hannah Postlethwaite, «radici e rami di alberi che si intrecciano, una natura oscura e brutale», e la mente di noi latini va alla selva oscura dantesca. Climax nel terzo atto, dove per intenderci s'innesta la celebre Cavalcata delle Valchirie: svetta l'enorme scultura di un volto di donna, è quello di Erda, dea della Terra e madre delle Valchirie, le guerriere che cavalcano sulle nubi e accompagnano nell'oltretomba gli eroi caduti in battaglia. La leader è Brunilde, una giunonica Camilla Nylund che conosce il Ring in ogni sua piega poiché lo frequenta da 30 anni in diversi ruoli, eppure «alla fine di questa produzione scaligera piango sempre, non mi era mai successo». Lo stesso Volle, nei panni di Wotan, il Giove teutonico, anticipa che sarà un finale particolarmente struggente: «dopo un monologo di venti minuti, in cui esprimo tutta la mia rabbia, lascio la figlia prediletta con un addio molto emozionante. Bisogna dosare accuratamente la tensione crescente che porta a questo momento altrimenti si rischia di non riuscire più ad esprimerlo».

McVicar mette in campo gli espedienti tecnici rodati nell'Oro del Reno, in testa il palcoscenico rotante. I costumi gioiosi e colorati dell'Oro lasciano il posto a fogge e colori materici, con elementi di armatura. Al netto di quel che si vede, punto di partenza delle più semplici letture, la «musica è di una bellezza incredibile», prosegue Young. Siamo nella Milano giustamente roccaforte verdiana, e di Wagner se ne fa poco, «eppure è musica che resta nel cuore dei musicisti», osserva la direttrice pensando ai nostri scaligeri. Trattandosi di una «storia piena di amore e dove solo con l'amore si può vincere il potere, spero che si possa uscire dal teatro con una maggiore dose di umanità», dubitiamo, ma chissà.

Sia Young sia l'ottimo Soddy, prediletto dalla buca d'orchestra, si sono formati alla scuola di Daniel Barenboim, colui che firmò l'ultima Tetralogia alla Scala, nel 2010 e nel 2013, si alternano sul podio anche perché inizialmente questo era destinato a Christian Thielemann che poi ha cancellato l'intero progetto.

Trovare al volo direttori di vaglia da far salire su un treno in corsa non è stato semplice. E così pure vendere un progetto creato attorno a un nome di grande richiamo come quello di Thielemann, soprattutto nelle italiche terre.

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