La valle afghana dove ora regna la pax italiana

A Bala Mourghab, nel Nordovest del Paese, i nostri alpini e gli alleati sono riusciti a sconfiggere i talebani che taglieggiavano gli abitanti. Nei villaggi hanno ricostruito i pozzi e riaperto i mercati. Anche il generale Petraeus li ha elogiati: "Hanno compiuto uno sforzo tremendo"

La valle afghana dove ora regna la pax italiana

"Ci sparavano da quei tre tetti a cupola, i proiettili ci sibilavano tra le orecchie, mordevano i parapetti della trincea... allora ho dato ordine di aprire il fuoco con le mitragliatrici e due minuti dopo non si è più sentito uno sparo". La chiamano "Operazione Buongiorno", ma dura da 5 mesi e di giornate calde come quella il Maresciallo Luca Antonacci ne ha vissute tante. Anche perché, per settimane, la madre di tutte le battaglie si è combattuta qui attorno all’avamposto Cavour. Qui il caporal maggiore Roberta Zimbaro, una 26enne calabrese con già in tasca i galloni di Miss Trincea ha vissuto il battesimo del fuoco. "Avevo tanta paura e non capivo niente... per vincerla mi son piegata sulla mitragliatrice e non ho mollato il grilletto fin a quando non se ne sono andati". Qui il 3° reggimento Taurinense, gli alpini della Task Force Nord, come li chiamano al comando Isaf, riscoprono la guerra dei bisnonni, la guerra di 90 anni fa tra le cime delle Dolomiti trasformati in alveari di roccia sanguigna. Al maresciallo Antonacci e al suo plotone il 2010 riserva la sabbia vermiglia dell’Afghanistan. Una sabbia fine come il talco, una polvere da spalare e respirare, sudare e odiare. Ma questa cima nuda e torrida non è il nemico. E non lo è il sudore versato per trasformarla in gruviera di gesso sottile. Il nemico è altrove. È laggiù, duecento metri più sotto, tra l’argilla di Qibchack, tra le case di fango impastato dove, fino a qualche settimana fa, insorti e talebani giocano a nascondino tra le abitazioni abbandonate, scaricano bordate di missili e razzi verso l’alveare germogliato sopra le loro teste.
Per anni Qibchack è solo una delle tante insidie disseminate tra i picchi di Bala Mourghab. I soldati italiani arrivano in questa valle nell’agosto del 2008, occupano un ex cotonificio diroccato, costruiscono le prime fortificazioni. Da allora non conoscono pace. Il dispiegamento studiato per aprire i collegamenti tra le provincie occidentali e quelle settentrionali apre invece un nuovo fronte. Talebani, trafficanti di armi e signori della droga considerano quest’angolo d’Afghanistan a un pugno chilometri dal Turkmenistan il loro santuario. E non tollerano intrusi. In breve l’ex cotonificio e gli altri avamposti diventano il bersaglio preferito per missili, razzi e lanciagranate. Neppure le offensive della Folgore e dell’esercito afghano della primavera 2009 riescono a estendere il controllo a più di due chilometri dalla base. Lo scorso aprile l’arrivo di una compagnia americana offre al colonnello Massimo Biagini, comandante del 2° reggimento alpini, l’opportunità per lanciare l’offensiva sempre rinviata. "Con l’appoggio degli americani e dell’esercito afghano abbiamo ripulito la valle metro dopo metro, villaggio dopo villaggio... ora la "bolla" di sicurezza sotto il nostro controllo si estende per venti chilometri da nord a sud lungo il corso del fiume Mourghab". Quella bolla di venti chilometri, quelle trincee rispuntate dal passato, quei villaggi dove in pochi mesi sono tornate a vivere oltre 7.000 persone sono l’orgoglio del colonnello. Lui li indica uno a uno distendendosi dal ciglio della trincea, mostrandoli a quel gigante da due metri per 130 chili dell’ onorevole Guido Crosetto, l’imponente sottosegretario alla difesa volato fin qui per vedere di persona i successi dei suoi soldati. Per il generale americano David Petraeus, il rude comandante di Isaf incontrato a Kabul l’operazione Buongiorno si riassume in tre semplici parole: "a tremendous effort". Quello "sforzo tremendo" visto dal cuore di questo intreccio di trincee e bunker è ancora più sorprendente. Qui si bivacca nel cuore della montagna, qui la vita è branda e fucile, scatolette e sabbia, solitudine e turni di guardia. Qui, a 45 gradi all’ombra, l’alpino diventa vedetta afghana, vigila sui villaggi "liberati", tiene a distanza il nemico talebano, disegna scarpata dopo scarpata, vetta dopo vetta quell’intreccio ridondante che gli americani chiamano "strategia antinsurrezionali" e noi italiani "semplice buon senso". Il colonnello Biagini lo riassume in tre parole: "sicurezza, governabilità ricostruzione". "Abbiamo ripulito i villaggi uno dopo l’altro, dall’avamposto Cavour siamo scesi quattro chilometri più a sud, ma la supremazia su un terreno dove abbiamo trovato 72 trappole esplosive e respinto 70 attacchi si conquista anche garantendo sicurezza e benessere.

In ogni villaggio riconquistato abbiamo assunto artigiani e manovali, abbiamo ricostruito pozzi e mercati. Ci è costato 180 mila dollari e tanta fatica, ma con quei soldi e quel sudore abbiamo garantito il primo spicchio di stabilità e pace. E per Bala Mourgah e i suoi abitanti è stato, credetemi, un vero "buongiorno".

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