Le donne, avanti le donne della Val di Susa. È una giornata di lotta partigiana, di assalti su e giù per i boschi, e allora ecco avanzare le staffette. Marisa ha i capelli bianchi ma fiato da vendere, urla insulti ai poliziotti mentre con il tronchese trincia per prima la rete metallica. Poi tocca alle altre anziane; dietro fremono le ragazzine dei centri sociali, davanti incombono gli agenti Digos. La «vera» recinzione, quella che delimita il cantiere dei sondaggi geologici sotto il viadotto dell’A32, è lontana. Il gesto è simbolico, ma è pur sempre un atto illegittimo (violata l’area dichiarata impraticabile dal prefetto), i fotografi hanno un gesto da immortalare e i capi della protesta possono dire di aver tagliato qualcosa.
Tra nonne e nipoti, mancano le quarantenni in testa al corteo contro il cantiere dei treni superveloci. Le mamme sono a casa con i bimbi: troppo pericolosa la lotta di liberazione sui sentieri ripidi. Ma la prossima volta, quando magari ci sarà da ostacolare una trivella o impedire l’esproprio di terreni, ci saranno anche loro. Donne e bambini davanti a tutti, e la polizia non potrà muovere un dito anche se attaccata.
Non l’ha mosso neppure ieri, in una domenica di nuvolaglia grigia che i black bloc di Roma avevano reso incandescente. Le forze dell’ordine si sono comportate in modo impeccabile. Hanno allargato il raggio dei controlli fino ai caselli autostradali della Torino-Bardonecchia (dove hanno fermato 16 persone con passamontagna, cesoie e maschere da sub) e hanno presidiato l’obiettivo dei No Tav: il cantiere di Chiomonte. Erano quasi duemila tra agenti e militari dell’Arma, con caschi, scudi, manganelli, giubbotti antiproiettile, maschere antigas. Hanno lasciato che il corteo si disperdesse nei boschi per unificarsi attorno alla baita abusiva della Clarea, l’avamposto delle proteste, senza però avvicinare il cantiere. Hanno vinto loro.
Invece tra i manifestanti il malcontento è palpabile. Una rete è stata tagliata, ma i macchinari per il tunnel non li hanno neppure visti. I leader della rivolta urlano slogan, ma al momento di decidere se aggredire o ritirarsi scelgono la seconda opzione. «Credo che possiamo dirci più che soddisfatti - strilla al megafono Alberto Perino, portavoce dei No Tav, bancario in pensione - La manifestazione ha raggiunto gli obiettivi. Chi ha gufato perché finisse male è deluso. Noi rifaremo cortei vita natural durante finché le reti non cadranno».
Ma molti mugugnano: «Non ci abbiamo neppure provato». «Non porteremo più così tanta gente». «I capi sono d’accordo con la polizia». «Non torneremo». Il movimento è diviso. L’ala maggioritaria usa la tattica: l’importante è radunare gente, spaventare il Paese, dare l’impressione di tenere sotto scacco la polizia. Ma c’è una minoranza violenta, pronta a tutto, e non sono black bloc, professionisti della guerriglia, ma una frangia dei centri sociali, compresi alcuni già sotto processo a Torino. Provarci, provocare, prenderle: questo vorrebbero. Creare il caos.
Invece si accontentano anche i leader del centro sociale Askatasuna, anima e nerbo del movimento No Tav. Non mancheranno occasioni per rinfocolare l’allarme. Presto arriveranno altri macchinari per le analisi geognostiche. Il cantiere dovrà allargarsi su terreni da espropriare. La protesta continuerà, non c’è da illudersi. E costerà cara al Paese. Il sindacato di polizia Sap calcola che l’apparato di sicurezza in Val Susa costi 30mila euro al giorno. E Chiomonte e Giaglione sono presidiate dai primi di luglio. Ieri è stata chiusa l’autostrada per parecchie ore: danni al turismo. Ma questo non interessa ai No Tav. Sentenzia Perino: «Continueranno a spendere soldi in modo stupido finché non capiranno».
D’altra parte, scatenare disordini in mezzo ai boschi sarebbe stato un suicidio. Impossibile scappare indenni dal fondovalle. Il corteo (gli organizzatori dicono 20mila persone, ma non erano più di cinquemila) era partito dal campo sportivo di Giaglione alle 11,30 lungo un sentiero stretto e scosceso con in testa le erinni tagliareti e la pattuglia in pettorina arancione degli avvocati del «Legalteam». A metà strada la polizia aveva montato la rete poi recisa. Ma era impossibile sfondare la barriera di ferro e cemento alta tre metri posta 500 metri più avanti.
A quel punto il corteo si è diviso: in molti hanno fatto dietrofront (tra cui il segretario Fiom Giorgio Cremaschi, l’eurodeputato Giulietto Chiesa e il leader di Rifondazione Paolo Ferrero), gli altri sono scesi lungo i pendii scavati dal torrente Clarea. I boschi di castagni brulicavano di gente che verso le 14,30 si è ritrovata alla baita abusiva: una casupola in pietra e un accampamento di tavoli, tendoni, casette sugli alberi, una cucina da campo.
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