Sono passati otto anni dal giorno in cui due jihadisti piombarono, armi in pugno, nel monastero di Mar Elian a Qaryatay e prelevarono il priore Jacques Mourad insieme al postulante Boutros Hanna. Poi un viaggio di quattro giorni senza cibo ed acqua, legato e bendato, fino a Raqqa che all'epoca era il quartier generale dell'Isis. Sulla pelle di padre Mourad è impossibile cancellare gli sputi ricevuti ad ogni posto di blocco o le minacce dei bambini armati che lo vedevano zoppiccare. Ma oggi non ne vuole parlare. L'ex ostaggio è diventato arcivescovo di Homs ad inizio di questo anno dopo essere stato eletto dal Sinodo dei vescovi della Chiesa patriarcale di Antiochia dei Siri e poi approvato dal Papa. Il Giornale.it lo ha intervistato mentre si trova a Roma dove ieri mattina è stato ricevuto a Palazzo Chigi dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Alfredo Mantovano.
Eccellenza, lei ieri ha avuto modo di parlare della situazione della minoranza cristiana in Siria con il sottosegretario Mantovano. Cosa potrebbe fare il governo italiano per aiutare a migliorare la condizione dei cristiani in Medio Oriente?
Ho approfittato dell'occasione di questo incontro per ringraziare il governo italiano per la sensibilità dimostrata sulla questione del rispetto dei diritti umani. L'Italia, specialmente se si pensa al tema dell'immigrazione, ha un ruolo cruciale. Ieri ho presentato un po' la situazione siriana ed in particolare ho parlato della crisi economica che stiamo affrontando. La povertà è ovunque: per un siriano il salario medio oggi è di sette dollari al mese, sufficiente per mangiare per una persona in soli due giorni. Questo non è normale, io non so come possiamo andare avanti se non c'è più solidarietà nei confronti del popolo siriano da parte della comunità internazionale, specialmente dell'Ue. Se le sanzioni restano così, il popolo siriano si trova di fronte a due opzioni: o muore o sceglie la strada del mare per emigrare. E rischia di morire in un modo persino peggiore. Per questo auspico che possano essere tolte le sanzioni e si possa aprire un dialogo con il governo siriano.
Si ritiene soddisfatto per l'incontro con Mantovano?
Il sottosegretario Mantovano mi ha fatto un'impressione molto positiva. Ma non mi stupisce perchè lui era già presidente di ACS Italia quindi lui può vantare una certa esperienza nell'impegno per gli aiuti umanitari. Lui capisce bene la realtà e i bisogni dei cristiani mediorientali. Per questo ho fiducia nel suo operato. Il governo italiano è sempre sensibile per i popoli che hanno bisogno, quindi non credo che l'Italia non farà nulla per la Siria.
In questi giorni ricorre l'anniversario dei dieci anni dal rapimento di padre Paolo Dall’Oglio con cui lei fondò la comunità monastica di Mar Musa. Cosa potrebbe essere accaduto al suo grande amico?
Padre Paolo non era un amico: era un mio fratello. Per me lui è un maestro di vita monastica, nonché maestro di sincerità e di coraggio nella fede cristiana, nell'amore di Dio concreto. È stato veramente un esempio, un modello su tutti i livellim sia nella vita spirituale che in quella quotidiana. Io credo sempre che padre Paolo è vivo. Anche se è morto nel corpo, lui per me è vivo. È un martire e i martiri non muoiono mai.
Anche lei nel 2015 fu rapito dall'Isis per cinque mesi. Quali sono stati i momenti più difficile della sua prigionia?
Quando ho incontrato gli altri cristiani, miei parrocchiani, che erano stati presi in ostaggio e che sono stati messi in una grande sala nel deserto. Dopo un primo periodo di prigionia solitaria a Raqqa, mi hanno portato lì e messo con loro. Quando sono entrato in quella sala e li ho visti lì, ecco, quello è stato il momento più difficile della mia vita. Era una terribile sorpresa, non lo sapevo prima. Per loro invece fu una sorpresa positiva perchè tutti pensavano che fossi morto. Quindi quando mi hanno visto hanno sentito nel cuore una speranza.
I suoi rapitori hanno cercato di convertirla all'Islam?
Ogni giorno. All'inizio per me era difficile ma dopo un po' ho capito che ci avrebbero provato sempre e di fronte al mio rifiuto mi aspettavo sempre di essere ucciso. Non so perchè non mi hanno ucciso. Da credente, la mia risposta è che Dio ha veramente impedito loro di uccidermi. Il motivo, però, non lo so. In quei mesi ho sentito forte la vicinanza del Signore e soprattutto la presenza di Maria. Questo è ciò che mi ha dato coraggio e la pace interiore.
Si è chiesto perché hanno rapito proprio lei?
Avevo un ruolo importante nella società di Qaryatayn perchè collaboravo con la comunità mussulmana, con gli imam. Quindi avevo un metodo di apertura e di convivenza. Per l'Isis questo non era facile da accettare. Inoltre ero priore nel monastero di Mar Elian dove tutti, sia cristiani che mussulmani, venivano a chiedere guarigioni e per loro quel luogo era blasfemo. Tant'è che subito dopo il mio rapimento lo hanno distrutto.
Lei non è stato liberato ma è riuscito a scappare. Può raccontare la fuga?
Ci sono riuscito grazie all'aiuto di un mussulmano, un amico del villaggio, che mi ha portato via con la sua motocicletta. Quando abbiamo passato il checkpoint dell'Isis, i miliziani mi hanno chiesto dove stessi andando. Io ho detto che dovevo andare a visitare un amico malato e mi hanno lasciato andare dicendomi: "che Dio ti accompagni". Nessuno dei miei rapitori pensava che io potessi davvero scappare, è stata un'azione molto coraggiosa.
Oggi qual è oggi la condizione dei cristiani in Siria?
I cristiani sono diventati rari in Siria, una minoranza ristretta rispetto con il passato.
Quindi l'unico modo per proteggere i cristiani è aiutarli a sopravvivere perché senza questo sostegno, senza la tanta solidarietà che arriva dalla Chiesa grazie alle sue associazioni ed organizzazioni, non possiamo vivere. Serve più sostegno da parte della comunità internazionale, specialmente dopo il terremoto che ci ha colpito. Altrimenti i cristiani spariranno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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