Il tradimento dei cristiani e della libertà religiosa

Dalla firma dell'accordo sino-vaticano del 2018, la vita dei cattolici in Cina è solo peggiorata. I leader religiosi che si esprimono contro il regime, o che semplicemente cercano di aiutare i bisognosi in accordo con la loro fede, sono stati puniti e messi a tacere

Il tradimento dei cristiani e della libertà religiosa

La recente proroga dell'accordo sino-vaticano mina profondamente il cuore stesso della libertà religiosa e della testimonianza morale che la Chiesa cattolica ha costruito per millenni. Rinnovando l'accordo per consentire al Partito Comunista Cinese di nominare i vescovi, la Chiesa sta scambiando il compromesso per progresso. Lungi dal modificare l'atteggiamento del Partito Comunista nei confronti dei credenti cristiani in Cina, gli ha piuttosto consentito di influenzare negativamente la Chiesa.

Dalla firma dell'accordo sino-vaticano del 2018, la vita dei cattolici in Cina è solo peggiorata. I leader religiosi che si esprimono contro il regime, o che semplicemente cercano di aiutare i bisognosi in accordo con la loro fede, sono stati puniti e messi a tacere. Il sostegno del cardinale Joseph Zen alle proteste pro-democrazia di Hong Kong nel 2019 ha portato al suo arresto nel 2022 con l'accusa di attentare alla sicurezza nazionale. Jimmy Lai, cattolico e leader dichiarato dei diritti umani a Hong Kong, è stato imprigionato dal regime per oltre quattro anni. Secondo recenti notizie, i funzionari cinesi hanno ordinato la rimozione delle croci dalle chiese e ordinato la sostituzione delle immagini di Cristo e della Vergine Maria con immagini del presidente Xi Jinping. Come può il Vaticano, con la sua storia di lotta per la libertà e di difesa della dignità dei perseguitati, piegarsi ancora una volta e accettare questa forza malvagia?

Stipulando questo accordo con il Pcc, il Vaticano ha legittimato un clero la cui lealtà rimane ancora oggi poco chiara; sacerdoti e vescovi autorizzati dal Partito, che ha continuato a nominarli al di fuori dell'autorità papale negli anni successivi alla firma dell'accordo. Uno di loro, il vescovo Zhan Silu, ha dichiarato che «per

portare avanti con determinazione la sinizzazione della religione, continueremo a seguire un percorso conforme alla società socialista».

La «sinizzazione» è di fatto la completa subordinazione di tutte le questioni spirituali al potere dello Stato. Nell'ultimo decennio, la persecuzione religiosa all'interno della Cina si è intensificata drammaticamente come risultato di questa politica, che proviene direttamente dalla leadership del Partito Comunista Cinese a Pechino. Chiese e moschee sono state chiuse, abbattute o sorvegliate così intensamente da essere ormai poco più che estensioni del controllo statale. Nello Xinjiang, l'orribile repressione dei musulmani uiguri, compresa la detenzione nei campi di internamento, ci ricorda come il Pcc consideri la religione: una minaccia alla sua autorità. I cristiani sono costretti ad allinearsi ai valori dello Stato, spesso a scapito della loro fede, o a subire l'ostracizzazione e persino l'incarcerazione.

I sostenitori dell'accordo sostengono che esso crea un «percorso» che consente ai cattolici cinesi di praticare la loro fede in pace e di essere protetti da un quadro ufficiale. Ma una pace ottenuta permettendo al Pcc di sostituire le immagini di Cristo con quelle di Xi Jinping, o permettendo agli apparati del Pcc di riscrivere intere parti della Bibbia per allinearsi all'immoralità atea del Pcc, non è affatto una pace. La sola idea che il Partito Comunista abbia voce in capitolo nella nomina dei vescovi dovrebbe essere inconcepibile per chi si impegna per la santità e l'indipendenza della Chiesa. In un'epoca in cui il Pcc esige fedeltà ideologica, qualsiasi compromesso significa che i leader cattolici saranno inevitabilmente tenuti a predicare dottrine che favoriscono lo Stato rispetto alla Chiesa.

Avendo prestato servizio

nell'esercito americano nell'ultimo decennio della Guerra Fredda, ho visto il potere della testimonianza morale della Santa Sede. Papa Giovanni Paolo II non si limitò a tollerare il regime sovietico, né cercò compromessi che avrebbero indebolito l'indipendenza della Chiesa. Quando visitò la Polonia nel 1979, si rivolse ai fedeli che soffrivano sotto la persecuzione comunista non con parole di compromesso, ma di coraggio, dicendo: «Non abbiate paura». Capì che rimanendo ferma nella sua fede e mantenendo la sua fedeltà a Dio solo, la Chiesa poteva ispirare un movimento per la libertà che si estendeva oltre la Polonia a tutti coloro che soffrivano sotto il dominio sovietico. La sua resistenza ha dimostrato ciò che la Chiesa può ottenere quando non si piega ai regimi terreni.

La Chiesa deve difendere i fedeli in Cina, non tradirli. Nel Vangelo di Giovanni, Cristo dice: «Io sono la luce del mondo. Chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». Non è una coincidenza che i regimi comunisti e totalitari dipendano dall'oscurità per la loro stessa sopravvivenza, perché possono continuare a governare solo se la loro brutalità non viene portata alla luce.

Prego che la Santa Sede riconsideri il suo accordo e che arrivi a capire che il modo migliore per trattare con regimi come il Partito Comunista Cinese non è l'acquiescenza, ma il chiedere conto delle loro flagranti violazioni dei diritti umani fondamentali, che risiedono in ogni persona fatta a immagine di Dio.

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