Vendola: "I morti non si resuscitano ma dobbiamo tornare uniti"

Il leader di Sinistra e Libertà: "L’Ulivo è una pagina chiusa. Però voglio dialogare con tutti, da Rifondazione a Casini". Il berlusconismo va analizzato per capire la ua capacità di radicamento"

Vendola: "I morti non si resuscitano ma dobbiamo tornare uniti"

Governatore Nichi Vendola, i suoi detrattori la chiamano «poeta del nulla», a causa delle tante immagini, delle troppe iperboli che infarciscono il suo linguaggio.
«Non ci posso fare nulla, io sono così. Un leader anomalo, eterodosso, non autoritario, come tutti sanno... E mi sono abbeverato a buoni libri, per esempio ricordo uno splendido saggio di Baget Bozzo...».
D’accordo, ma poi bisogna che la gente capisca se c’è ciccia o no.
«La ciccia sta nelle discussioni vere, profonde, che riguardano la società, la vita delle persone... Non nella caricatura di una discussione. Non mi interessa una politica di basso profilo, avvolta su se stessa. Mi appassionano i grandi processi sociali e le prospettive da offrire, le analisi, la ricerca di un orizzonte...».
Lasciamo da parte l’orizzonte. È vera questa storia che adesso traghetterà la sua sinistra verso il Pd?
«Ma secondo lei... dopo aver fatto una battaglia dentro Prc, dopo aver perduto il congresso, dopo aver vissuto l’involuzione e i processi che non mi hanno fatto più sentire un cittadino di Rifondazione, dopo aver rischiato tutto aprendo un cantiere e presentando una lista... Ora vado a chiedere di entrare nel Pd? Avessi pensato alla carriera, l’avrei potuto fare prima, non crede?».
A Rifondazione ne sono sicuri.
«Non sono mai voluto entrare in polemiche di così basso profilo. Qualcuno s’è specializzato nell’autocritica degli altri, nell’autocritica di Vendola... Fustigatori di un mio presunto cinismo».
Ferrero, che le ha addossato le responsabilità della sconfitta.
«Quello che era chiaro prima e anche dopo il voto è che una prospettiva identitaria non ha spazio incidente, efficace, per puntare al futuro. Ci vuole il coraggio di un nuovo cantiere, tutti sono bravi a criticare qualsiasi cosa».
Magari c’è un po’ di livore perché «Sinistra e libertà» ha preso quasi gli stessi voti del Prc. In ogni caso, adesso potrà far contare il grande successo personale, casomai volesse entrare nel Pd.
«Insiste, ma l’accusa è totalmente infondata. Sono anni che nel centrosinistra si cerca la pozione magica per risorgere, o con un leader o con un contenitore capace di contrastare Berlusconi. Io propongo a tutti di sospendere la discussione sul leader o sulla confezione del contenitore, per discutere di contenuti. Vogliamo affrontare le questioni di fondo? Il campo nel quale ci muoviamo è vasto, riguarda tutte le forze di opposizione al governo della destra e, in questo senso, lavorando a una grande sinistra unitaria e plurale, di popolo, il mio compito è discutere e confliggere anzitutto con il Pd. Ma non solo: io voglio parlare con Pannella, Di Pietro, Ferrero... il mutamento viene se non ci sono pregiudiziali verso nessuno».
Quindi anche con Casini.
«Parlo con tutte le forze che si oppongono al governo. Ma questo, sia chiaro, non è il presupposto di un’alleanza».
Non si va verso un nuovo Ulivo.
«Non si possono far risuscitare i morti: l’Ulivo è morto e il passato non si può replicare. È una discussione che non mi interessa: io voglio che si discuta sulla crisi italiana, su come si costruisce un blocco sociale alternativo a quello della destra... un’esperienza alternativa al berlusconismo che, con questa vittoria instabile, ha visto aprirsi nella sua narrazione una crepa irriducibile».
Un campo di forze così vasto non potrà non reggersi sull’anti-berlusconismo. Già visto.
«Se antiberlusconismo significa inventare un leader della sinistra che contrasti quello della destra sullo stesso terreno, è un’operazione che considero culturalmente subalterna... Noi piuttosto dobbiamo analizzare il berlusconismo, la sua capacità di penetrazione... Si tratta di una complessa operazione culturale, meno effimera e urlata».
Ma come pensa che il Pd sia pronto a uscire dalle sue logiche?
«Io non sono un notaio, loro non sono delle mummie. I mutamenti in corso, e gli ultimi dati elettorali, potranno influenzare un’analisi seria. Io voglio discutere dei fenomeni in atto, della crisi italiana, dei ceti medi sospinti verso la povertà, del corto circuito tra le generazioni... Voglio discutere per capire senza pregiudizi, per esempio, come organizzare il welfare».
Temo che preferiscano parlare di Rai. «Sinistra e libertà» chiude?
«Il cantiere non sarà chiuso, ma è solo un seme, e non potremmo mai rinchiuderlo nell’autosufficienza. L’energia in moto è un patrimonio sufficiente a un passo grande».
Indovino: un partito. Un altro.
«Non amo il participio passato, preferisco l’infinito. Un partire, insieme. L’esito di un processo, se è autentico, non è predefinito, non c’è una formula astratta e salvifica, non c’è un abracadabra.

È un duro lavoro di ricostruzione e vogliamo che non sia un’accademia di chiacchiere, che non prevalga una vischiosità demagogica, che ci siano tanti occhi diversi, capaci di vedere meglio un orizzonte futuro».
Ahinoi, l’orizzonte. Riecco il poeta.
«Gliel’avevo detto: io sono così, io sono uno che ci crede».

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