Venti di guerra alle porte dell’Europa

La Serbia è la nazione sorella della grande madre Russia, e c’è anche di mezzo un gasdotto. Il Kosovo ha subito in passato torture e devastazioni a opera dei serbi, e anche in quel territorio passa un gasdotto. La dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo dalla Serbia, con l’appoggio, o la presa d’atto, di Stati Uniti e di una parte dell’Ue, contiene in sé pesanti elementi e pericoli di destabilizzazione, sarà il caso di tenerne conto anche in Italia, nonostante resti in carica fino alle elezioni il governo Prodi, che dovrà assumersi fino in fondo le responsabilità per le decisioni della Farnesina. L’autodeterminazione dei popoli è importante, infatti, ma non può scavalcare gli equilibri internazionali né prefigurare altre situazioni di separazione o rivolta, altrimenti il nostro povero continente si troverà come alla fine dell’Ottocento. Rischiano di rimetterci per primi i componenti della missione Eulex, spedizione civile con agenti di polizia, funzionari e magistrati, incaricati di accompagnare il cammino della provincia serba a maggioranza albanese verso la piena sovranità.
La decisione del governo del Kosovo e l’invio della missione Eulex non modificano in alcun modo la netta contrarietà del governo serbo, che non intende perdere il territorio considerato la culla della civiltà e della storia nazionale. La Russia ha già definito l’intera operazione illegale e immorale, ha chiesto l’immediata riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, citando proprio una risoluzione, la 1244, che fece del Kosovo un protettorato Onu ma confermò la sovranità serba.
C’è di peggio, perché le aree a maggioranza serba della provincia si rifiuteranno di seguire i kosovari nella secessione, anzi dichiareranno a loro volta la secessione da Pristina. Nel distretto di Mitrovica sarà relativamente semplice, c’è un ponte che divide la comunità albanese da quella serba, ma sarà invece complicato e pericoloso nelle piccole enclavi serbe sparse nel cuore del Kosovo. Potrebbe facilmente finire come in passato con le bande paramilitari degli opposti schieramenti libere di compiere assalti e razzie. Ma il timore legittimo non riguarda solo una nuova e sanguinosa destabilizzazione dei Balcani. Nel resto d’Europa fa paura il nazionalismo, pacifico o cruento che sia. Non ne vogliono sapere la Spagna che ha i baschi al nord, la Francia che ha i corsi, la Grecia, l’Ungheria, la Slovacchia, Cipro. Ieri Ossezia e Abkhazia hanno annunciato di volere l’autonomia dalla Georgia.

Se la Macedonia torna a sognare la Grande Albania, Belgrado potrebbe rivalersi in Bosnia. Un incubo, al quale possiamo aggiungere l’ultima goccia di veleno: uno Stato musulmano povero e privo di istituzioni in Europa? Meglio la Turchia.

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