Un verdetto da dimostrare

Tanto tuonò che piovve. Il conflitto di attribuzione sollevato dal presidente Ciampi nei confronti del Guardasigilli Castelli, che con nota del 24 novembre 2004 aveva opposto un netto rifiuto alla concessione della grazia a Ovidio Bompressi, risale al 10 giugno dell'anno scorso. Se il capo dello Stato ci ha pensato ben bene prima di compiere questa mossa, si può dire altrettanto della Corte costituzionale. Per quasi un anno, per usare un gergo calcistico, ha fatto melina a centrocampo non senza qualche buona ragione. Difatti, con vari giudici in scadenza, era opportuno che una decisione tanto impegnativa non fosse assunta a ranghi ridotti. Ma la cautela della Consulta poteva anche avere un'altra spiegazione. Non era azzardata l'idea che il verdetto intervenisse solo quando sia Ciampi sia Castelli fossero usciti di scena. E invece, appena il giorno dopo l'udienza pubblica, la Corte ha posto la parola fine a quello che in un nostro libello sulla grazia a Sofri ci siamo permessi di definire un intrigo costituzionale.
È probabile che la decisione di considerare l'atto di grazia formalmente e sostanzialmente presidenziale, con la conseguenza che la controfirma ministeriale altro non sarebbe che l'accertamento della provenienza e della regolarità formale dell'atto, sia stata agevolata dalla circostanza che il Guardasigilli non si è costituito in giudizio. E il motivo è ben noto, perché è stato lo stesso Castelli a dirlo a chiare lettere. Non si è costituito in giudizio d'intesa con il presidente del Consiglio. Come privato cittadino Silvio Berlusconi non aveva mai nascosto di essere personalmente favorevole a un atto di clemenza nei confronti di Adriano Sofri. Ma poiché la proposta e la controfirma è stata sempre considerata una prerogativa esclusiva del ministro della Giustizia, Berlusconi non poteva usare che la moral suasion. E alla fine l'ha avuta vinta.
In sostanza la Corte ha acceduto alle ragioni squadernate dall'Avvocatura generale dello Stato nel ricorso presentato il 10 giugno scorso. Ma ancora non sappiamo il perché. Solo dopo il deposito della sentenza in cancelleria, per il quale sono previsti una ventina di giorni, conosceremo il procedimento logico-giuridico dei giudici a sostegno della tesi che alla fine ha prevalso. Fatto sta che se avessimo dovuto azzardare una previsione, avremmo concluso che la Consulta avrebbe sposato la tesi dell'atto duale, che si perfeziona grazie al concorso di volontà del capo dello Stato e del Guardasigilli. E non per un ghiribizzo, ma per il semplice motivo che tutta una serie di considerazioni deporrebbero in questo senso. Ma nel nostro piccolo non ci affezioniamo più di tanto alle nostre tesi. Soprattutto perché non ci scordiamo mai del beffardo monito di quel bellimbusto di Winston Churchill. Che amava ripetere di non fare previsioni, tanto ci sono gli esperti che non ne azzeccano una.
Eppure, la tesi dell'atto duale è tutt'altro che campata in aria. In questo senso depone la consuetudine costituzionale affermatasi fin dai tempi dello Statuto albertino. I lavori preparatori della nostra Carta repubblicana sono nel senso della sostanziale accettazione della predetta consuetudine. Come prova il fatto che il comma 11 dell'articolo 87 ricalca l'articolo 8 dello Statuto. Nell'estate del 1991, quando Cossiga intendeva concedere la grazia a Curcio, dovette fare una repentina marcia indietro, e con lui il presidente del Consiglio Andreotti, per l'opposizione del Guardasigilli Martelli. Che sollevò un conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale, ritirato solo quando Cossiga e Andreotti riconobbero le prerogative del ministro della Giustizia.
Ancora. In ben due pronunce la Consulta ha sposato la tesi dell'atto duale. La proposta di legge Boato, che con una semplice legge ordinaria aveva la pretesa di concedere al capo dello Stato un potere assoluto in tema di grazia, è stata colata a picco dall'assemblea di Montecitorio. La quale, a differenza di Paganini, poco dopo ha concesso un bis. E ha cancellato quel famoso articolo 24 della riforma costituzionale del governo Berlusconi che non prevedeva per alcuni atti presidenziali né la proposta né la controfirma ministeriale. E, vedi caso, tra questi atti faceva bella mostra di sé quello di grazia. Senza dire che eminenti presidenti emeriti della Consulta, come Zagrebelky e Elia, si sono pronunciati a favore dell'atto duale.
Il bello è che molti costituzionalisti nel 1991 si schierarono a favore di Martelli e contro Cossiga. Mentre da un po' di tempo in qua sono dalla parte di Ciampi e danno torto a Martelli. A pensar male, si sa, si fa peccato ma s'indovina. Che avesse ragione Eduardo De Filippo che in una sua commedia dava regolarmente torto a chi gli stava «antipatico»? E tuttavia non sapremmo dire se i futuri presidenti della Repubblica trarranno un vantaggio da questa decisione della Consulta. Perché finora, a rispondere degli atti di grazia davanti al Parlamento e all'opinione pubblica, era il Guardasigilli. Che con la controfirma si assumeva la responsabilità dell'atto.

D'ora in avanti, invece, sarà il capo dello Stato in prima linea. E potrebbe essere oggetto di contestazione proprio colui che ai sensi della Costituzione rappresenta l'unità nazionale. Diciamocela tutta: gli conviene?
paoloarmaroli@tin.it

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