«Le vere esigenze del porto? Un superbacino, ma in muratura»

«Le vere esigenze del porto? Un superbacino, ma in muratura»

Ne parlano un po’ tutti, di questo nuovo superbacino galleggiante. E lei, invece, dottor Giovanni Novi, se ne sta zitto? Proprio lei che, da presidente dell’Autorità portuale, era stato uno dei promotori della struttura per riparazioni di grandi navi che aveva ottenuto un sostanzioso finanziamento dallo Stato?
«Precisiamo: il progetto che avevo sostenuto a suo tempo sarebbe stato finanziato con quasi 57 milioni di euro».
Perché usa il condizionale?
«Per il semplice fatto che quei soldi, già pronti ad essere erogati, non sono mai usciti da Roma. E in quanto mai utilizzati per la bisogna, il ministero se li è ripresi. Purtroppo, per sempre».
Quindi, se si costruisce il nuovo superbacino, il porto non può più usufruire dell’aiuto dei soldi pubblici?
«È così. Bisogna ricominciare da capo a reperire i fondi. E possiamo immaginare di quale impresa si tratta...».
Quanto, in soldoni? Si parla di 100-120 milioni di euro.
«L’onere di investimento per un’opera di questo genere è molto alto. D’altronde, bisogna capire che un superbacino, il cosiddetto sesto bacino, è indispensabile per lo scalo genovese. Sarebbe in grado di ospitare il 95 per cento delle navi esistenti, con un ritorno economico considerevole per il porto e la città».
Lei l’aveva concepita così, l’idea.
«Avevo preso atto, fin dal momento in cui mi sono insediato a Palazzo San Giorgio, della necessità di dotare lo scalo di un bacino di grandi dimensioni, in aggiunta ai cinque più piccoli già operativi. Il progetto prevedeva una vasca in muratura, dimensioni di 340 metri per 65, posizionata nella parte di ponente del Molo Giano».
L’iter era arrivato fino al Consiglio superiore dei lavori pubblici.
«A dire il vero era stato anche approvato dal Consiglio. Eravamo a marzo 2007. E c’erano disposizione i famosi 57 milioni di soldi pubblici, concessi dopo una incessante opera di convincimento presso i ministeri di competenza»
... che non volevano più finanziare una struttura galleggiante.
«Infatti, in quanto nel 1996 Genova aveva venduto, anzi svenduto a un milione di euro alla Turchia il superbacino galleggiante iniziato nel 1972, costruito in acciaio e cemento esterno (così da evitare la manutenzione), e ormai quasi terminato».
A proposito: pare che sia stata indennizzata in qualche modo la Sogene, la società costruttrice, nel frattempo fallita?
«Certo. Con 10 miliardi, in quanto la Sogene era socia al 10 per cento dell’opera. Incredibile, ma vero».
Torniamo al «suo» progetto. Che fine ha fatto?
«Vorrei saperlo anch’io. Dal maggio 2008, quando ancora si parlava di gara d’appalto, non se ne parla più. Non ne parlano i sindacati, le aziende, Confindustria».
Invece tutti discutono del nuovo bacino galleggiante in acciaio.
«Quello che non si dovrebbe fare. Per almeno tre ragioni fondamentali».
La prima?
«L’impatto ambientale: significa una costruzione che si alza per oltre 70 metri dal livello del mare. Un palazzo di 27 piani per una lunghezza di 330 metri».
Non basta, c’è altro.
«Un bacino in acciaio richiede manutenzione alla carena, sempre sommersa in acque stagnanti: ogni due o tre anni un intervento di una squadra di sommozzatori specializzati per pulire la superficie e parte delle fiancate. E ogni dieci-dodici anni bisognerebbe comunque rimorchiarlo a Palermo o Marsiglia per la manutenzione generale».
Possibile che non ci faccia caso nessuno, visto che sembrano tutti così entusiasti della soluzione superbacino galleggiante in muratura?
«Mi pare che, in assoluta buona fede, per carità, sia il sindaco Marta Vincenzi, sia il presidente dell’Autorità portuale Luigi Merlo, sia il numero uno di Confindustria Genova Giovanni Calvini, tanto per citare i principali protagonisti del dibattito, non abbiano le idee chiare».
Sia meno diplomatico.
«Non voglio accusare nessuno, quanto piuttosto insistere sull’assoluta esigenza di parlare con cognizione di causa. Mi pare invece che tutti parlino senza avere la minima idea di che cosa sia un superbacino di carenaggio».
Che invece sarebbe tanta manna per il porto della Lanterna.
«Possiamo dirlo ad alta voce. Le riparazioni navali genovesi sono un settore all’avanguardia a livello internazionale, riconosciuto da tutti. Avrebbero bisogno di un’opera simile, e al più presto. Poi si può decidere dove collocarla, ognuno ha le proprie motivazioni. Ma va fatta».
Purché si faccia dove dice lei, dottor Novi: nella parte di ponente del Molo Giano.
«Non lo dico solo io, lo dicono i tecnici più qualificati del settore. Avrebbe un impatto decisamente molto modesto, e non darebbe fastidio a nessuno.

Anzi, andrebbe bene agli operatori portuali, a chi di porto vive e ha interesse a mantenerlo in efficienza produttiva».
Non mi dirà che non si è fatto proprio per questo?
«Io non l’ho detto. Passiamo a un’altra domanda...?».

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