Isabella Traglio, head of design e responsabile Ricerca & Sviluppo di Vhernier, era ancora alle elementari quando è stato creato l'anello Abbraccio che da 30 anni è un best seller del marchio nato nel 1984 a Valenza come laboratorio d'arte orafa ispirato dalle forme sublimi di Hans Arp, Fontana e Brancusi. La sua famiglia lo rileva nel 2000 trasformando i gioielli Vhernier in una vera rivoluzione di gusto e stile. Lei entra in azienda giovanissima anche se riesce a laurearsi in lettere a Milano, poi studia gemmologia in America e frequenta un master internazionale di management alla Bocconi.
Qual è la parte più affascinante del suo lavoro?
«Seguire gli esperimenti e la ricerca per sviluppare nuovi materiali. Gran parte della fama di Vhernier viene da qui, dai gioielli in bronzo, alluminio, titanio grigio o nero sempre abbinati a pietre e metalli preziosi piuttosto che al legno fossile, all'ebano, al giaietto».
È vero che nessuno riesce a rifare i vostri giochi di trasparenza sulle pietre di colore?
«Non lo dovrei dire io, ma anche questa è una grande ricerca che abbiamo affinato nel tempo. Le nostre spille sono degli esempi favolosi con tre, anche quattro lastre sottilissime di pietre dure dalle diverse sfumature sovrapposte fino a formare dei perfetti motivi animalier. Penso a un meraviglioso serpente con la testa in diamanti e le squame ottenute da una bellissima giada con delle inclusioni nere che, ingigantite dal cristallo di rocca, danno proprio la sensazione quasi tattile della pelle dell'animale in natura».
Che lei sappia sui vostri gioielli esistono leggende o superstizioni?
«A dire il vero no, ma nel loro DNA hanno volumi molto morbidi e sensuali che per natura trasmettono una grande energia. Per esempio ho notato che chiunque indossi il nostro ciondolo Calla in ebano e oro finisce per toccarlo e giocarci inconsciamente con le dita come se fosse uno scacciapensieri. Inoltre le nostre chiusure sono sempre nascoste e quindi il gioiello diventa una forma infinita come un mantra da indossare».
È vero che usate molto il cristallo di rocca cui si attribuiscono poteri curativi?
«Lo utilizziamo più che altro per la sua trasparenza che ci ha permesso di creare Aladino, una delle nostre collezioni più belle. Però siamo stati anche tra i primi a usare delle pietre che non sono trasparenti come il Kogolong che sta diventando sempre più difficile da trovare ed è bellissimo con il suo bianco che sembra latte solidificato. Abbiamo inoltre lanciato Tsavoriti e Spinelli, pietre un tempo ignorate dal mercato».
Nel suo portagioie c'è qualche talismano?
«Ho dei pezzi che mi appartengono da sempre e per sempre come l'anello Camuration in Kogolong che mi regalò mio zio Carlo quando nel 2000 abbiamo comprato Vhernier. Poi ho un anello a palloncino con la testa bianca che mi resta nel cuore perché è legato a dei ricordi. Sto inoltre accumulando i bracciali della collezione Mon Jeu che sono componibili e molto comodi: se li metti non li togli più. Temo che tra un po ' avrò un braccio robotico».
Quest'anno celebrate il trentennale di Abbracci un vostro grande classico, lei lo porta?
«Sempre e ce l'ho da tantissimi anni. A parte il significato che trovo meraviglioso è un oggetto comodissimo con il tipico volume Vhernier grande e sensuale. È proprio un anello che ti rimane attaccato al dito. Il mio è in oro ma sei mesi fa l'abbiamo presentato anche in titanio grigio e oro rosa aggiungendo poi un bracciale per cui abbiamo fatto non so più quante cere: 37-38 come minimo. Non è facile trasformare un anello in bracciale, bisogna mantenere le proporzioni e preoccuparsi di fare un oggetto ergonomico. Noi siamo molto attenti a queste cose, i nostri gioielli hanno volumi importanti ma sono sempre portabili e mantengono il disegno originale. Insomma un Abbraccio resta tale al dito, al polso e sulle orecchie».
Come fa un uomo a regalarle un gioiello, rinuncia subito o corre il rischio?
«Il mio compagno è felicissimo perché dice che non ha problemi a scegliere: regalandomi un Vhernier sa di rendermi felice».
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