Una cosa è che uno scrittore abbia uno sguardo attento e un'altra è che sappia come usarlo.
È ciò che subito colpisce leggendo il romanzo d'esordio dello scrittore americano Lee Cole in libreria con Mani nella terra in Italia per Marsilio (traduzione di Martina Testa, pagg. 416, euro 21). Un esordio raro, potente, coraggioso: pagine di tenerezza infinita sullo sfondo dell'America più profonda.
La Guerra di Secessione è un ricordo lontano, una pagina nei libri di storia ma solo in apparenza: perché quel Midwest che, anche qui tante volte abbiamo raccontato, è lontano, mai come oggi, dal Nord di una America completamente diversa.
Ne è dimostrazione, ad esempio, la vittoria di Trump, nelle elezioni del 2016, su Hillary Clinton: la vittoria di Trump era prevedibile, per chiunque conoscesse minimamente gli Stati Uniti del Sud, anche solo per aver letto i romanzi di William Faulkner. Ma nei salotti e nelle redazioni newyorchesi già si stappavano champagne e editoriali sulla prima Presidente donna.
Sappiamo come è andata: e anche questo è uno dei temi principali che affronta Lee Cole in un romanzo che la critica ha individuato, catalogato e depotenziato come un romanzo di formazione: il diventare adulti, il disagio esistenziale, i primi amori, le aspirazioni tra la realtà del quotidiano e i sogni infranti.
Senza dubbio è anche questo, ma quanti ne abbiamo letti? Certo il passo narrativo di Cole - uno dei protagonisti assoluti nel vasto programma del festival letterario Pordenone Legge (ad oggi il migliore in Italia, migliore persino del Festival di Mantova) è differente dai cantori del Midwest di oggi.
I suoi paesaggi anche emotivi ricordano certe inquadrature di un film capolavoro come Out the Fornace (tradotto demenzialmente come Il fuoco della vendetta) del regista Scott Cooper, prodotto da Leonardo Di Caprio e interpretato da Woody Harrelson, Christian Bale, Sam Shepard, Willem Dafoe).
Mani nella terra, però, è soprattutto la metafora della dicotomia tra il mondo americano Bibbia e fucile prima e dopo Trump, tra liberal e repubblicani, in un territorio dove il puritanesimo fa a pugni (nel vero senso della parola) con il degrado morale, dove gli abitanti del Midwest sono visti dagli americani quasi come stranieri e gli abitanti del Midwest sono a dir poco intolleranti con gli immigrati. Un corto circuito che Lee Cole riesce a far vivere nitidamente sulla pagina e che affonda le radici storiche sin dai tempi dei primi coloni europei.
Il protagonista è il ventottenne Owen Callahan, che è anche la voce narrativa: dopo aver perso un lavoro in Colorado e aver dormito in macchina per due mesi si trasferisce nel seminterrato del nonno conservatore, Pop, alla periferia di Louisville, Kentucky, un luogo che Cole descrive cosi: «Un plotone di lattine di birra nell'angolo, bucce di banana nere su piatti di carta, tazze di caffè macchiate. La pallida luce della luna che scendeva dalla finestra».
Owen ha accettato un lavoro di manutenzione del verde presso l'Ashby College per poter frequentare un workshop di scrittura perché ai dipendenti è concesso un corso gratuito. Qui Owen durante una festa di studenti laureati conosce Alma Hadzic, una scrittrice ventiseienne cresciuta in una famiglia di immigrati bosniaci colti e benestanti, rifugiati durante la guerra civile jugoslava degli anni '90: si sono rifatti una vita in America, lei si è laureata a Princeton e ha ottenuto una prestigiosa borsa di studio. La storia è ambientata nel 2016, quando Trump era visto (e votato) come un esponente anti-establishment.
Da parte sua, Owen è determinato a persuadere Alma dell'umanità che esiste dietro le rudi apparenze della sua gente, diretti discendenti xenofobi di coloni inglesi e scozzesi.
Nella prima pagina del romanzo Cole stabilisce subito ciò che prova: «Quando sono a casa, nel Kentucky, tutto quello che voglio è andarmene. Quando sono lontano, ho nostalgia di un luogo che non è mai stato».
Il Kentucky di Cole è popolato di battisti del sud (evangelici che vivono osservando rigorosamente i principi della Bibbia, e i Dieci Comandamenti, rifiutano l'evoluzione della specie di Darwin, sono contro omosessualità e aborto), biscotti alla salsiccia, mercati delle pulci, case mobili, adolescenti incinte e centinaia di morti per overdose di fentanyl.
Scrive Cole: «Amavano il cibo e l'arredamento non perché avessero cattivo gusto, ma perché gli era familiare. Erano cresciuti in vere fattorie, mungendo mucche e staccando i polloni dal tabacco vero. Avevano mangiato mele stufate, cime di rapa e garretto di prosciutto, e gli attrezzi alle pareti erano quelli che usavano i loro padri, in un'epoca che non era, almeno nel Kentucky, un tempo lontano. Era recente e vivido, e il dolore della sua scomparsa era quindi ancora presente, come un arto fantasma».
Cole racconta i legami che uniscono le famiglie e le lacerano attraverso le generazioni ma la sua narrazione è anche una feroce metafora sul duro mestiere di trovare il proprio posto nel mondo.
Lee Cole è abilissimo nel giocare tra finzione e autobiografia e soprattutto nel ritrarre la psicologia dell'io diviso, ancor più alla deriva in una America che, cercandosi continuamente, si è persa.
Mani nella terra lascia spazio agli errori umani, ma incoraggia anche i suoi personaggi (e i lettori) ad assumersi le proprie responsabilità e a fare meglio se si presenta un'altra occasione.
Ci invita a riscoprire quella sensibilità e
quell'innocenza perdute che ci possono aiutare a far luce su questioni delicate che la società affronta da secoli ma soprattutto su quelle che ci affliggono in quest'epoca e alle quali siamo obbligati a dare una risposta.
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