Viaggio alle radici della guerra civile che forgiò gli Usa

Erik Larson incrocia le vite e i destini di chi scatenò la secessione

Viaggio alle radici della guerra civile che forgiò gli Usa

La notte del 12 aprile 1861 nella baia di Charleston è una notte da lupi, vento, onde, pioggia. Poi alle quattro e venti del mattino ai malestri della natura, che ha flagellato di pioggia e vento i tetti e i vetri della città si uniscono quelli degli uomini: verso Fort Sumter inizia una pioggia di colpi d'artiglieria. Piovono dagli altri forti che proteggono la baia e che sono in mano alle forze secessioniste della Carolina del Sud. Sino all'alba lo scarso presidio unionista comandato dal maggiore Anderson - uomo del Sud, per nulla antischiavista, ma ligio nella sua obbedienza a Washington - non risponde al fuoco, protetto dall'oscurità e dalle spessissime mura della più potente fortificazione della baia. Al sorgere del sole parte la risposta unionista in un duello d'artiglieria che produrrà, sul momento, pochissimi danni agli umani (qualche ferito) pur trasformando Fort Sumter in una sorta di gruviera. Gruviera dal quale il presidio unionista, alla fine, alzò bandiera bianca, sgomberandolo il giorno 14, con l'onore delle armi e portandosi dietro la Stars and Stripes con 33 stelle sfilacciata dal combattimento. Una resa causata più dalla mancanza di viveri e dall'ignavia della flotta nordista che non seppe come intervenire in soccorso che dagli effetti diretti del bombardamento.

Ma la piccola battaglia di Fort Sumter fu l'inizio di quella gigantesca macelleria nota come Guerra di secessione americana (1861 - 1865) che costò la vita a ben 750mila statunitensi. È l'inizio anche del nuovo saggio di Erik Larson: Il demone dell'inquietudine. L'alba della guerra civile americana (Neri Pozza, pagg. 666, euro 24).

Un falso inizio, per certi versi, dal momento che Larson, uno dei rari bestselleristi della saggistica visto che nel mondo coi suoi libri ha venduto più di 12 milioni di copie, parte poi in digressione per far capire come il massacro innescato dallo scontro della baia di Charleston avesse radici profondissime e non sempre necessariamente collegate in maniera così diretta con lo schiavismo. Ne esce un affresco potente su come un Paese caratterizzato, già all'epoca, da sofisticati strumenti di democrazia, ma anche da potentissimi squilibri sociali e spaccature ideologiche abbia potuto precipitare nell'apocalisse, quasi senza accorgersene.

Larson incrocia moltissimi fili. Porta il lettore nell'alta società di Charleston dove eleganti signore annotano nei loro diari, tra un cambio d'abito e l'altro, la paura che monta per il conflitto in arrivo; lo porta nel mezzo del velleitario tentativo dell'abolizionista John Brown di scatenare una rivolta in Virginia nel 1859 (tentativo finito su una forca); nel seggio elettorale di Lincoln; a ripercorrere la caotica e scandalosa carriera di James Henry Hammond, autore di uno dei più famosi discorsi a favore della schiavitù che teorizzava che «nulla di meglio potesse capitare al negro».

Il racconto di queste vite incrociate mette in luce l'incomunicabilità di due mondi e la genesi di una serie di errori fatali. Il Sud o meglio la «Cavalleria», la classe agiata che aveva costruito la sua ricchezza sulla frusta e sul cotone, viveva sulla base del Code duello. La «Cavalleria» collocava l'onore sopra ogni altra qualità umana e non avrebbe esitato a uccidere per difenderlo, ma solo in accordo con le regole stabilite nel Code. Tutto questo poteva esistere, compresi i finti tornei medievali, solo sulla base dello sfruttamento delle piantagioni. Portato avanti con diversi gradi di disumanità. Così diverso dalla disumanità praticata nelle fabbriche del Nord in rapida espansione industriale? Forse no, ma certamente una disumanità meno efficace. Il Sud stava perdendo terreno, si vestiva di fasto mentre nelle strade di Charleston l'igiene era affidata agli avvoltoi - c'erano multe per chi importunava gli animali - e la ferrovia correva sempre più veloce verso l'Ovest.

La propaganda antischiavista, a partire da libri come La capanna dello zio Tom venne vissuta sempre più come un insulto all'onore e per di più, nel caso del bestseller antischiavista portata avanti da una «ignobile canaglia in gonnella», ovvero la scrittrice Harriet Beecher Stowe. Costrinse i sudisti a decine di inutili romanzi di risposta con strambi titoli tipo The Cabin and the Parlor («La capanna e il salotto», chiaro titolo per polemizzare con quei radical chic del Nord) o Zio Robin nella sua capanna in Virginia e Tom senza casa a Boston. Ma se per l'onore era lecito scrivere, lo era anche sparare... E passo dopo passo Lincoln, che era un antischiavista all'acqua di rose e che subentrava ad un presidente, James Buchanan, che aveva cercato di minimizzare le frizioni sino all'ultimo, si trovò a dover difendere una cosa a cui come molti nordisti teneva molto di più che al tema della schiavitù: l'esistenza dell'Unione e il suo destino economico. Buchanan si rifiutò, a fine mandato, di far sgomberare le truppe dell'unione dalla baia di Charleston perché «Se ritiro Anderson da Sumpter posso tornare a casa a Wheatland alle luci delle mie effigi date alle fiamme». Il maggiore Anderson difese il forte perché era nato a Lousville nel Kentucky ed essendo un uomo del Sud non si sarebbe ritirato senza onore, trasgredendo degli ordini. I ribelli di Charleston, comandati da Pierre Gustave Toutant de Beauregard, amicissimo di Anderson, spararono perché erano uomini d'onore, schiavisti in nome di Dio e certi che il Nord non avrebbe resistito un minuto senza il loro prezioso cotone. Che loro non avrebbero mai più vissuto come prima senza le piantagioni e gli schiavi.

Il resto venne da sé e causò lacrime e sangue che nessuno aveva saputo prevedere, il resto venne con la poderosa

macchina industriale del Nord che stava già in un'altra epoca. E di fronte a quella macchina il Sud non poté più mentire a se stesso, e far passare la schiavitù e le frustate come un collaterale normale ad una cena di gala.

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