Violenza che mette in crisi la politica

Stefano Zecchi

Dopo le elezioni del presidente della Repubblica si continua a parlare - a maggior ragione e con altri argomenti - di un Paese diviso a metà. Di un Paese diviso nella sua rappresentanza politica, perché quello della gente che arriva più o meno agevolmente o faticosamente alla fine del mese, è sempre più indifferente alla politica dopo la parentesi della grande eccitazione elettorale. Per esempio, posso garantire, avendo un’esperienza di partecipazione in prima persona, che anche un’importante consultazione come quella del rinnovo dell’amministrazione di un Comune come Milano, suscita ben poca passione tra la gente. E d’altra parte, questo mondo reale vive comunque di passioni intense, drammatiche, folli, ma all’interno delle mura domestiche.
Sono stati appena pubblicati due dati statistici che fanno riflettere proprio in relazione alla nostra realtà politica, cioè quella che dovrebbe progettare e organizzare il modello di vita futura dei cittadini. Il primo dato dice che c’è un aumento vertiginoso delle separazioni (e dei divorzi) delle coppie sposate. Il secondo mostra un impressionante aumento esponenziale dei crimini all’interno delle mura domestiche.
È come se la vita vera, con le sue aspettative e le sue delusioni, fosse soltanto quella della propria esistenza interiore e affettiva, mentre marginale è tutto ciò che è pubblico, oggettivo: anche lo stesso lavoro è sempre più vissuto come un fatto personale, narcisistico. Così quando scoppia la crisi per un insuccesso, un’incomprensione non ci sono più mediazioni con la realtà, in grado di compensare il dolore o la frustrazione del momento, e tutto deflagra dentro il piccolo mondo privato.
Di fronte a delitti aberranti si dice: ci sono i pazzi. Il marito che dopo meticolosa premeditazione decapita la moglie, o l’amante che in un paesino del Veneto riesce a stordire di botte l’ex fidanzata incinta di nove mesi per poi seppellirla viva, sono evidentemente dei folli. E invece non è evidente un bel niente: il problema drammatico è che sono persone normali.
Una volta ci si serviva della teoria, risalente al filosofo Lombroso, che sosteneva che chi ammazza una persona è pazzo. Proprio gli studi e le esperienze dei nostri tempi ci dimostrano scientificamente che l’omicidio, anche il più efferato, è oggi purtroppo compatibile con la normalità. Una persona assolutamente normale può commettere il peggiore dei crimini. Quel giovane Maso di Verona, che ammazza madre e padre, è stato esaminato in lungo e in largo da psicologi e psicanalisti: alla fine non si è riusciti a giudicarlo malato di mente. E la stessa cosa si deve dire per altri noti criminali di cui la cronaca ci fornisce ogni volta pietosi resoconti.
Insomma, il gesto è criminale, ma la mente è normale. Il che significa che questi assassini vivono tra noi «normalmente». Talvolta accade qualcosa nella loro vita interiore che scatena l’atto criminale; nulla riesce a frenare il delitto, non viene in soccorso nessuna mediazione con la realtà, capace di mostrare come sia possibile ridimensionare «realisticamente» la situazione di crisi. La vera vita è solo quella privata, quella del proprio mondo interiore.
I padri della psicanalisi dicevano che è normale che in quasi tutti noi passi per la testa l’idea di ammazzare qualcuno che ci ha fatto un torto. Però scattano i cosiddetti freni inibitori che ci spazzano dalla testa l’idea omicida. Oggi questi freni sono sempre più deboli. La violenza è considerata banale, la morte non viene vissuta con quel sentimento religioso o laico che fa riflettere sulla nostra finitezza, perché considerata uno sgradevole evento cui è meglio non pensare. E quando violenza e morte vengono comprese nel loro significato, ecco che aggredire e uccidere non appaiono gesti terribili da reprimere. Poi, a questo, si deve aggiungere il non trascurabile fatto che la vita pubblica non suggerisce alcun impegno importante su cui scaricare le proprie passioni e le proprie energie.

Ha la politica le sue responsabilità? Non è la politica che dovrebbe offrire gli spazi in cui coinvolgere collettivamente le persone per un progetto di vita da discutere, da affermare? Qui non c’è più un Paese diviso politicamente, sembra purtroppo molto unito.
Stefano Zecchi

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