"La vita e l'arte senza maschere"

Film della regista sul Carnevale di Viareggio visto dal grande fotografo

"La vita e l'arte senza maschere"
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C'è, interpretato da Tony Laudadio, il testo di Vittorio Sgarbi che, tra le altre interessanti riflessioni, ricorda l'etimologia della parola carnevale, dal latino «carnem levare» ossia «toglier la carne» oppure da carrus navalis ossia il carro della dea Iside. C'è quello di Sandro Veronesi che racconta di essersi trovato, in una Roma notturna e piena di foschia, in mezzo a una rissa tra persone mascherate, pensando a un'allucinazione ma era solo martedì grasso. C'è poi il Carnevale di Viareggio nell'anniversario dei suoi 150 anni e, a fotografarlo c'è lui, il vero protagonista di tutto, Nino Migliori, il grande artista novantasettenne (75 anni di attività) a cui Elisabetta Sgarbi dedica questo suo secondo lavoro, Nino Migliori - La festa che rovescia il mondo per gioco, presentato ieri alla Festa del Cinema di Roma, dopo quello dello scorso anno Nino Migliori, Viaggio Intorno alla mia stanza. Ancora una volta il cinema di Elisabetta Sgarbi, con un soggetto che ha scritto con Eugenio Lio, spazia tra diverse forme artistiche, eterogenei riferimenti, tra impressione della realtà che riesce a trasfigurare in un lavoro snello, di 35 minuti, pieno di arte grazie anche alle musiche di Mirco Mariani. Proviamo a raccontarlo con un'intervista doppia, a Sgarbi e Migliori accompagnato sempre da Marina Truant, sua moglie e compagna dal 1978.

Chi è per te e cosa rappresenta Nino Migliori/Elisabetta Sgarbi.

Elisabetta Sgarbi: «Nino e Marina, direi. Per me Nino non c'è senza Marina. Sono una cosa sola essendo due. E dunque per me sono un grande artista e un grande amico/a».

Nino Migliori: «Una donna eccezionale, da tutti i punti di vista, è una sorpresa continua. Ha inventato un'infinità di cose grazie alla sua preparazione e sensibilità. Con lei non ho bisogno di discutere su nulla, siamo in sintonia».

Rispetto al film precedente, chiuso nello studio fotografico, qui siamo all'aperto. Avete scoperto qualcosa di più l'uno dell'altra?

Sgarbi: «Nino è una continua sorpresa. Più lo frequento, più mi rendo conto di quanto non so di lui. Avrei dovuto iniziare a filmarlo almeno trenta anni fa. E non sarebbe bastato. È uno sperimentatore che non conosce la noia».

Migliori: «In realtà a me non piace essere ripreso, non è che mi faccia piacere. Preferisco riprenderle le persone oppure parlarci. Però il rapporto con Elisabetta è diventato così familiare in poco tempo che mi segue come un affetto, non come una regista. A lei permetto tutto perché non mi sento sotto l'obiettivo».

Cos'è per voi il carnevale?

Sgarbi: «Travestirsi e scomparire. Lo associo a Wakefield di Hawthorne, che esce di casa e scompare, pur andando al di là della strada. Sta lì, insomma, ma non è più lui. Ma per me, dico. Non è il Carnevale di Viareggio».

Migliori: «È un raduno al di fuori della abitudini del vivere, fondato sul piacere e sul sorriso».

Che ricordi ne avete?

Sgarbi: «Un piccolissimo Carnevale a Ro Ferrarese. Io vestita da fatina, con un vestito lungo rosa chiaro con ricoperto da un bianco velo».

Migliori: «Sì anche io ho l'impressione che mi mascherassi da piccolo ma chi se lo ricorda ora».

E quello di Viareggio?

Sgarbi: «È bello per tutto il processo creativo che lo accompagna. Dentro c'è professionalità, creatività competenza, rigore, artigianalità, ingegneria. È di per se una macchina cinematografica».

Migliori: «È un soggetto straordinario da riprendere e da documentare. Siamo anche andati nei capannoni mentre preparavano i carri e abbiamo visto lo stato d'animo di queste persone che lavorano per mesi. Un grande insegnamento».

Sandro Veronesi/Vittorio Sgarbi, così vicini, così lontani?

Sgarbi: «Lontano tra loro, forse, ma entrambi molto vicini a me. E a Migliori».

Migliori: «Vittorio lo conosco da quando s'è laureato a Bologna ed era il più bravo con quella sua dialettica. Sandro Veronesi è più meditativo. Sono due intellettuali molto diversi ma rappresentano bene anche il carnevale con le sue tante maschere».

Entrambi avete lavorato, nella regia e nella fotografia, utilizzando arti e materiali diversi. Come definireste questo vostro approccio?

Sgarbi: «Indisciplinato. Mi ci rispecchio molto. E molto meglio che multidisciplinare».

Migliori: «Anche io uso mezzi differenti.

Nella fotografia ho sempre cercato di scoprire qualcosa di diverso in quello che rappresentavo. Non il bel ritratto o il bel paesaggio perché la fotografia è un mezzo espressivo dei più significativi e veritieri. Anche se si basa su una bugia, la mia».

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