Viveva solo in una casa popolare: lascia un’eredità di 700mila euro

Maria Vittoria Cascino

da Portofino

Un mini alloggio su piazza della Libertà. Da qui Gustavo Pulitzer, negli ultimi mesi di vita, scrutava la Portofino dei lustrini e di quelli che contano.
Dalla tendina scostata, nella risacca goduta dai mega-yacht, estranea ai suoi affondi oltre il Faro. Allampanato nei suoi occhi altrove, ai lati della mondanità, scrive un testamento: «Lascio i miei soldi a Portofino che li destinerà ad un fondo da costituire in favore degli anziani bisognosi del borgo».
Settecentomila euro sul tavolo e lui che viveva in un alloggio popolare. Un brivido. Lo sguardo alla tendina e una fuga a ritroso. Per la gente che non consuma le ore in piazzetta. Per chi non ha venduto, per chi c'è rimasto aggrappato alla sua creuza.
Nel borgo lo conoscevano tutti Pulitzer, cugino di quel Joseph del Premio. Era un biologo marino, ricercatore fino al midollo. Immersioni e catalogazioni. Il passo lungo a ridosso del muraglione, il basso profilo della discrezione e la Portofino in bianco e nero che gli scivola nelle vene. Le puntate da Giorgio Mussino a chiedergli in prestito la lancetta e prendere il largo. Oltre il Faro.Poi giù. Lontano dalla vetrina dorata del borgo, nel suo fondo da scrutare. È quel buio lì che cerca, non la zattera della Gritta.
«S'è stabilito qui 50 anni fa». Antonio Nannicini te lo racconta da allora, quando gestiva il Caffè Excelsior in piazza Martiri dell'Olivetta e se lo vedeva scostare la sedia per agguantare l'ultima luce. Un bicchiere di vino e la confidenza cercata con l'anima del borgo.
«Prima viveva a Roma e veniva come ospite. Poi la decisione di trasferirsi qui e dedicarsi agli studi di biologia marina, la sua passione. Era un autodidatta. Viaggiava in tutto il mondo per le sue ricerche. Ha lavorato per l'Istituto di Zoologia di New York, il Cnr di Bari, e collaborava con l'Ateneo genovese. Ha donato buona parte del materiale raccolto al Museo di Storia Naturale di Genova».
La voce rallenta: «Era un po' più anziano di me, avevamo stretto a nostro modo un rapporto che s'è consolidato negli anni». Ti dice che era riservato, che conosceva tre lingue, che nonostante gli amici faceva vita ritirata. Spariva, ma tornava a sempre a Portofino, la sua Itaca. Viveva in affitto. Poi il mercato immobiliare s'impenna e deve lasciare la casa. Allora il primo miracolo: il Comune gli assegna un alloggio popolare, poche stanze su Piazza della Libertà. Tanto basta. È l'altra faccia del borgo. Quella silenziosa dietro le tendine. Quella che si racconta le ultime in dialetto. Quella che ha riconosciuto a Pulitzer pieno diritto di cittadinanza. Gli ultimi anni sono stati di malattia. La spola tra il borgo e l'ospedale di Santa Margherita Ligure. Fino alla morte il novembre scorso. E il colpo di teatro dell'eredità. Cerchi il sindaco Giorgio Devoto, per tutti «Tigre». Sanguigno, mette insieme le emozioni: «Ero un ragazzo e lo accompagnavo fuori in barca in cerca delle sue spugne. Lo ingoiava il silenzio e io lo aspettavo riguadagnare il pelo dell'acqua».
Una ritualità percepita che diventa laccio d'acciaio. «Ormai non usciva quasi più. Lo accudiva una signora, lui riceveva sempre meno ospiti. Lo abbiamo capito». Sempre più simile al borgo, avvitato su se stesso. Adesso l'omaggio.
«Useremo il lascito per aiutare le persone in difficoltà - conferma Devoto -. Abbiamo un buon sistema d servizi sociali. Quei soldi ci permetteranno di migliorarlo.

Ne stiamo già discutendo con Paolo Buzzi, responsabile dell'assistenza».
Sono frastornati. È l'onda di ritorno dell'altra Portofino, quella degli anziani e degli assistenti sociali, a due passi dal lusso. Che Pulitzer aveva individuato come dimensione.

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