Il vuoto del Pd e il rischio della violenza

A Torino compare una stella a cinque punte contro Marchionne. Un segnale minaccioso: l’americano del Lingotto ha sparigliato le carte contro sindacati e Confindustria. E di fronte a una sinistra assente si affaccia l’incubo di un ritorno al passato

La stella a cinque punte su un grande manifesto pubblicitario, scara­bocchiata lì al centro di Torino, sem­bra quasi un errore storico, un’imma­gine grigia, un pezzo di piombo, che fa irruzione nel presente. Se non ci fosse di mezzo Marchionne, la bufera sulla Fiat, le parole sempre uguali a se stes­se dei cattivi maestri, l’eco delle bom­be anarco- comuniste di questa strana stagione, si potrebbe pensare a una brutta citazione del passato.

Purtrop­po davanti al sim­bolo delle Br non basta un colpo di spugna.C’è un cli­ma che puzza, che sa di reazione, che riporta l’Italia sul confine di certe te­si rancide e perico­lose. L’americano del­la Fiat ha sparigliato le carte. La scelta di scombussolare la logica del conso­ciativismo, dei tavoli con la Cgil a smi­st­are il traffico, è una rivoluzione cultu­rale. È uno schiaffo all’immobilismo, alle roccheforti del sindacato e alla bu­rocrazia mediocre della Confindu­stria. È uno strappo. È il tentativo di portare questo Paese fuori dal Nove­cento, di disegnare nuovi percorsi. Marchionne non è un politico e neppure un filosofo. È un manager che cerca di risolvere problemi. La sua azione, però, ha scatenato la reazione di tutte le forze che hanno paura di fare i conti con le questioni aper­te dal XXI secolo. Si vive al­l’interno di una metamorfo­si difficile. Il mondo che co­noscevamo si basava su cer­tezze ideologiche e esisten­ziali.

Era il mondo del posto fisso e con i rischi ammortiz­zati a tavolino. Questo mon­do è franato. La fatica è trova­re un nuovo equilibrio. La soluzione non è nel passato. I non reazionari, con sen­so pratico, ci stanno provan­do. Non spacciano rivoluzio­ni e non promettono il para­diso, ma vanno avanti risol­vendo problemi, un passo al­la volta. Non è un’impresa fa­cile. E lo è ancora di meno visto che lo stanno facendo da soli. Sono anni che ci si chiede che fine abbia fatto la sinistra. Questa volta non è un polemica. È una curiosi­tà e la constatazione di un’assenza che non si può più ignorare. Chiamatelo suicidio o fallimento storico di una classe dirigente: di fat­to il Pd e tutto ciò che gli cir­cola intorno è popolato di zombie, di marionette e di fantasmi del passato. Le po­lemiche su D’Alema in ca­chemire vengono lette co­me un attacco politico. So­no invece il segno di un tem­po. La sinistra più furba si è chiusa in un elitarismo anti­democratico, che disprezza tutto ciò che sa di popolo, di massa, di grandi numeri.

Si sono rinchiusi in una torre d’avorio aristocratica, con­tenti come D’Alema di pas­sare da vip e farsi fotografa­re senza alcun imbarazzo sulle pagine di «Chi» in com­pagnia del costruttore del­l’ecomostro di Fuenti. Si specchiano nelle vele del­l’Icarus o nelle bottiglie di champagne e si sentono più vicini agli Agnelli che a Mar­chionne, figuratevi se han­no tempo per capire dove va il mercato o interrogarsi sul destino dei precari o degli operai. C’è poi chi ha scelto l’aristocrazia dei salotti let­terari, compiacendosi delle cene con eleganti scrittori anglosassoni, sperando di strappare una candidatura allo Strega. Tutto questo ba­gnato in un antiberlusconi­smo ideologico, che dopo quindici anni ha raggiunto un solo risultato: cancellare l’identità di un partito. Il re­sto sono i vecchi sermoni an­ni ’70, serviti con un piccolo restyling no global e intellet­tualoide.

Ma non basta un orecchino per essere moder­ni. Ecco cosa è oggi la sini­stra italiana: snob, aristocra­tica, antipopolare, reaziona­ria, giustizialista, moralista e come sempre anticapitali­sta. L’ultimo tassello è que­sta voglia di anni di piombo che riaffiora come uno sgor­bio della storia.

La speranza era che la sinistra fosse in qualche modo comprima­r­ia nel governare la moderni­tà. Purtroppo non sarà così. Che fine ha fatto? Una parte è scappata in barca a vela, l’altra si aggira malinconica alla ricerca di un tempo per­duto.

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