È legittimo pensare che presto linglese e il cinese mandarino si contenderanno il mondo. A noi amanti dellitaliano, a noi francofili, resterà una grande, non infondata nostalgia. Ma intanto, se vogliamo intuire cosa può provocare lincontro-scontro tra linglese e il cinese mandarino, possiamo già avvalerci di qualche documento molto divertente e significativo.
Ne ho appena finito di leggere uno, questo Piccolo dizionario cinese-inglese per innamorati dovuto a una giovane scrittrice, Xiaolu Guo (Rizzoli, pagg. 331, euro 17). Lei, come altre sue coetanee cinesi, è ormai lontana una galassia dai miei amici espatriati dopo Tienanmen, il Nobel Gao XingJian, il poeta Yang Lian, dalle loro tematiche forti imbevute di taoismo e metafisica. Le cinesi più giovani si gettano a capofitto nella commedia rosa, molto sexy e molto garbata, dove lesotismo non sono loro, ma noi, ovvero i maschi occidentali colti nelle loro più tipiche espressioni. Se altre amano provare lebbrezza di copulare con un maschio «fascista», alla protagonista del Piccolo dizionario tocca di scoprire leros con un tardo hippy londinese, dolce, bisessuale, contorto nelle sue passioni per la scultura e la marginalità. Agli occhi della ragazza giunta a Londra dalla campagna cinese in fermento neocapitalistico ma ancora pregna del verbo maoista, lOccidente o, come si diceva una volta, «il mondo libero» appare innanzi tutto individualismo, solitudine, mancanza di radicamento familiare, prepotenza dellio, e sesso. Sesso dappertutto e in tutte le forme. Sesso senza pudori e senza limiti. Sesso da godere, inventare, scoprire.
Tra le pagine più esilaranti del libro, quelle sui peep-show e sulle «istruzioni per luso del profilattico». E bisogna dire che la giovane protagonista non ci mette molto a imparare, coniugando limmoralismo occidentale con il particolare materialismo confuciano. Diventa poi quasi una libertina, in giro per lEuropa, dove si infila nel letto di un tedesco malato, di un italiano festaiolo, e si lascia alla fine possedere da un taurino portoghese. Certo, lOccidente che scopre è anche Pessoa, Flaubert, Whitman, per fortuna. Ma soprattutto è la lingua inglese. Ogni capitolo prende il titolo da un vocabolo. Che stupore misurare legocentrismo anglosassone notando che la prima parola di ogni frase è il pronome personale, quell«io» e quel «tu» che per i cinesi vengono sempre dopo lindicazione del tempo e del luogo in cui agiscono. Che stupore vedere una certa parsimonia o pigrizia in una lingua che usa soltanto 26 caratteri contro i 50mila del cinse mandarino. E scoprire che gli inglesi chiamano «lavanda» o «narciso» ciò che i cinesi dicono con i loro ideogrammi «erba che profuma i vestiti» o «piccola fata dellacqua».
Si esce da un libro così elementare e leggero rinfrancati.
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