ZECCHI Quel desiderio travagliato

«Il figlio giusto» è un romanzo a due voci: Francesca, tormentata da una maternità impossibile, e Andrea, il suo debole compagno

Stefano Zecchi iniziò la sua vita di narratore con Estasi, romanzo di grande successo in cui l’autore faceva confluire le sue posizioni filosofiche sull’idea di bellezza, nuove e anticipatrici. Quando lessi Estasi la prima volta, sarà perché sapevo che Zecchi lo aveva scritto a Parigi in un appartamento sul boulevard Saint-Germain, sarà perché sino ad allora Zecchi aveva coltivato con rigore la fenomenologia, pensai a Sartre. L’autore francese aveva rappresentato per la nostra generazione l’esempio di un intellettuale capace di dare forma romanzesca (e poi teatrale) a idee filosofiche e a una complessa visione del mondo. Ma mi fu subito chiaro che Sartre, con il suo esistenzialismo che era sì un «umanesimo» ma poteva flirtare con nichilismo e stalinismo, non era proprio il modello di Zecchi, affascinato piuttosto dal vitalismo di D.H. Lawrence e dalla sua potente spinta utopica.
Leggendo oggi di un fiato questo suo nuovo libro di vivissimo interesse, Il figlio giusto (Mondadori, pagg. 255, euro 17,50), constato che l’autore di Estasi ha continuato con fedeltà a credere in un romanzo di idee, inventando personaggi e situazioni esemplari e mettendo sulla carta destini individuali e condizioni epocali. Soltanto la spinta utopica si è attenuata, e di lawrenciano rimane il tema del confronto-scontro fra uomo e donna. Il tema centrale qui è il desiderio di maternità, qualcosa di essenzialmente, semplicemente naturale, in un’epoca come la nostra in cui gli esseri umani si sono allontanati dalla natura e sembrano sempre più affascinati dalle sirene dell’autoaffermazione e dai risultati della scienza.
Due personaggi vivono sulla loro pelle queste tematiche, due voci che parlano in prima persona e che costituiscono la struttura portante del romanzo. La prima voce, sorprendente, drammatica e dalla sincerità che taglia come un bisturi, è quella di Francesca, una donna bella e contenta della propria posizione sociale che, giunta al limitare dei quaranta, è presa dall’irrefrenabile desiderio di avere un bambino. Questo desiderio diventa ossessione, lotta, sconfitta, sfida eroica. Niente viene risparmiato a Francesca, tra aborti naturali, raschiamenti, tentativi di fivet (fecondazione in vitro con embrione trasportato), ipotesi di fecondazione eterologa. Vive sino allo spasimo, all’interno di se stessa, il contrasto fra la sua mente che ha deciso di avere un figlio e il suo corpo che non glielo vuole concedere. La tecnica si impossessa di lei. Scompare via via dalla sua vita la sensualità, la sessualità, l’affetto, e tutto prende la trasparenza neutra e asettica dell’ospedale, del laboratorio. Eppure, affidando alla tecnica il proprio corpo, Francesca salva l’anima nel suo desiderio di maternità sino a vivere, in una delle pagine più belle e strazianti del libro, l’espulsione di un feto morto come una punizione impersonale, quasi divina.
La voce maschile appartiene ad Andrea, un medico affermato, uno scienziato che smentisce con i suoi comportamenti i protocolli stessi della scienza e che, anche a detta dell’amico che lo ascolta, parla talvolta come un filosofo. Quando discute di musica, ne vede al centro non un ordine matematico, come molti sostengono, ma il fuoco inestinguibile della passione. E arriva a definire la vita come una fuga ostinata e continua dalla malattia e dal suo universo di arbitrio. Mentre Francesca è dominata dal desiderio di maternità come da un demone ossessivo, Andrea, più debole come in genere i maschi di fronte alle loro femmine, fa i conti con il ricordo del padre e dei loro rapporti conflittuali, con la morte della madre, con un bisogno di paternità che per lui è rinviabile, sacrificabile alla ricerca di equilibrio e felicità.


Qual è dunque il figlio giusto di cui parla il titolo? Dove sta la giustizia, nel portare sino in fondo le possibilità della tecnica anche applicate a un momento così delicato come quello della procreazione, o nell’obbedire alla natura e nel rassegnarsi ai suoi umori? Il lettore va in cerca della risposta in pagine narrativamente felici, veloci e fluide, sino a imbattersi in un finale choccante nella sua perfetta normalità.

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