Dissero a Zenga: «Fidarsi di Zamparini è come investire in Lehman Brothers». Era giugno: la crisi finanziaria cominciava a ridursi e quella di Walter stava per aprirsi inconsapevolmente. Perché è così: quando il presidente del Palermo giura daver trovato lallenatore giusto, finisce sempre male. Firmò felice, Zenga. E disse di ambire alla Champions e pure allo scudetto. Il crac era sottotraccia, come con Lehman. È arrivato ieri, con un allenamento saltato e un colloquio col presidente: esonerato dal Palermo alla tredicesima giornata, con 17 punti e una classifica non da Champions, ma neanche da retrocessione. La parola «scudetto», Walter lha sostituita con «delusione». Deluso lui e deluso pure Zamparini per motivi identici e opposti. Lo sapeva Zenga che non si sarebbe dovuto fidare fino in fondo. Chi gli aveva paragonato la panchina del Palermo a un investimento a rischio era uno dei 27 allenatori fatti fuori in passato dal presidente. Walter è il numero 28 e non serve adesso ricordagli che tra gli altri ci sono Prandelli, Zaccheroni, Guidolin, Ventura, Spalletti, Del Neri. Adesso non gli serve nulla, neanche la figlia appena nata, figuriamoci sapere che in questinizio di campionato ci sono già otto mister saltati, compreso Baroni sostituito ieri da Malesani al Siena. Otto, un record che alla tredicesima giornata lItalia condivide con gli Emirati Arabi.
«Sono deluso», lo ripete a chiunque lo chiami. Il calcio perde momentaneamente uno capace di ravvivarlo anche da spento: Zenga è una variabile che ogni tanto porta fuori dal triangolo Inter-Juventus-Milan. Perché alla fine di ogni partita avrebbe potuto dire una cosa diversa, magari sbagliata, oppure giusta, comunque utilizzabile: per un titolo o per una polemica. Il diverbio con il conduttore Rai Enrico Varriale per esempio: dieci giorni a chiederci chi avesse ragione. Aggressivo senza essere violento, politicamente scorretto senza essere cafone, bullo senza essere detestabile. Zenga è servito al pallone per raccontarci qualche cosa che non fosse Mourinho. Anzi forse è stato un José in sedicesimi: con la voglia di dirne sempre una diversa dagli altri. Con lidea fissa del nemico che si trascina dietro da quando stava in porta: allepoca era Pagliuca, poi Sacchi, poi i giornalisti, adesso Zamparini. Il presidente aveva detto: «Mi piace Walter, perché è uno che non si tiene nulla dentro. Parla chiaro e in faccia». Stavolta è stato lui un po subdolo, o almeno questa è limpressione. Una settimana fa aveva rassicurato: «Zenga non rischia affatto anche in caso di sconfitta col Catania. Non ho mai pensato di esonerarlo».
Non cha pensato, lha fatto. Licenziato e sostituito da Delio Rossi, evidentemente allettato dallidea di tornare nel giro, ma anche lui avvertito da qualcuno della precarietà dellinvestimento. Perché a Palermo bisogna fare i conti con le cose brevi. Brevi come gli innamoramenti per molti allenatori, compreso questo con Zenga, interrotto così, per poi magari riaccendersi unaltra volta se Zamparini saccorgerà di non aver trovato niente di meglio. È successo a Guidolin: esonerato e poi richiamato. È successo a Colantuono: esonerato e poi richiamato. Il problema è se Walter è uno da ritorno dopo una delusione. La faccia dice di no, la sua storia pure. Non ha accettato i fischi dellItalia e per questo a fine carriera da portiere se ne è andato in America: «Ero abbastanza stufo di prendere insulti. Gli americani avranno tanti difetti, ma almeno non vanno allo stadio per tifare contro. Ero un po stanco di dovere ascoltare offese continue a mia moglie e ai miei figli, stanco dei cori Argentina, Argentina, stanco di un ambiente dove ti danno due giornate di squalifica perché rispondi alla gente che ti infama». È tornato in Italia dopo aver vinto campionati in Romania e Serbia. Gli hanno dato in mano il Catania col sottile piacere di vederlo sprofondare: invece lui lha preso, lha salvato e lha fatto giocare a pallone.
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