Moretti al partito non piace più

La bella deputata regina dei talk show tv viene considerata una sorta di Mata Hari. Pesa il tradimento a Bersani, che ha mollato quando ha perso. E ora corteggia Cuperlo

Moretti al partito non piace più

Nonostante sia molto attraente, Alessandra Moretti è respinta da tutto il Pd. Bella è bella e la paragonano a Carole Bouquet dei tempi d'oro. Ma la sua personalità non piace. Dicono sia arrivista, impreparata, pasticciona. Le rimproverano - e qui scatta l'invidia- di essere sempre in tv a parlare in nome dell'intero Pd senza che nessuno - e qui c'è del vero - l'abbia autorizzata a farlo. Insomma, sgomita e strafà. Così, in otto mesi a Montecitorio, la quarantenne Venere vicentina è passata da pupilla di Pier Luigi Bersani a cane sciolto.

Pier Luigi le aveva dato tutto, dalla nomina a portavoce nella campagna elettorale 2013, al seggio parlamentare. Fu lui a mandarla in tv, dove gli occhi smeraldini e una grinta da guardia del corpo di Gheddafi, ne hanno fatta una diva da rotocalco. Guai a chi le toccava il suo Pierlù. Era bravo, geniale e pure sexy - «bello come Cary Grant», diceva - mangiandosi vivi i criticoni alla Matteo Renzi o Massimo Cacciari e seppellendo di interdetti chi deviava dall'ortodossia del segretario. Emulava Claretta Petacci, pronta a morire per il suo uomo, il segretario del partito e premier in pectore degli italiani. Perché questo era Bersani, quando Alessandra stravedeva per lui. Poi, però, è venuto il crollo. Dopo le elezioni, Pier Luigi ha fiascheggiato a ripetizione e la madama si è disamorata. Passi il magro risultato elettorale, ma allorché ha visto che non riusciva a fare il governo, né a imporre il capo dello Stato che voleva lui, la fanciulla ha mollato il suo bene come un cane morto sul greto del fiume.
Moretti fece il salto della quaglia il 18 aprile, quando Bersani ordinò di votare Franco Marini per il Quirinale e lei invece, votò scheda bianca, contribuendo alla fine politica del capo. Pier Luigi le tolse il saluto e Alessandra, da bella, diventò inquietante. Chi è costei, ci si chiese, che ti si attacca come una ventosa se sei in auge e sparisce al primo segno di declino?

Da allora è «Petronilla», l'arrampicatrice sociale del Corrierino, e nel Pd nessuno più si fida di lei. La sua popolarità televisiva non ne ha però risentito poiché, anche senza l'appoggio del partito, ha agganci propri in Rai e altrove. Un addentellato è Massimo Giletti, il fascinoso presentatore. Da questa estate, quando su un settimanale sono apparse le foto dei due in tenuta balneare sulla battigia sarda è corsa la voce di un «fidanzamento», rafforzata dall'indiscrezione che Alessandra si sta separando dal marito. Giletti nega il flirt, lei nicchia. La loro frequentazione, in ogni caso, è più antica delle foto estive. Già il 24 giugno, compleanno della bella deputata, Massimo era tra gli invitati nella sua casa al centro di Vicenza.
Voltate le spalle allo statista di Bettola, Alessandra si è messa in questua di un altro uomo dal luminoso avvenire su cui appollaiarsi. Ha adocchiato Renzi che, ai tempi della simbiosi con Bersani, le stava invece sull'anima. «Un misogino, costruito a tavolino e maschilista», diceva sprezzante. Ultimamente invece ha subissato, lui e i suoi seguaci alla Camera, di sorrisetti e occhiatine in tralice. Ma è andata buca, giacché il paravento di Firenze, facendo tesoro del bidone a Bersani, la considera inaffidabile e pasticciona. Ed è davvero maldestra se, proprio in tempi recenti, si era fatta vedere, tutta moine, con Patrizio Mecacci, il giovane capo del Pd fiorentino, feroce antirenziano. Ti puoi, poi, stupire se ricevi un rifiuto?
Così, ha ripiegato su Gianni Cuperlo, lo sfidante di Renzi alle primarie Pd. L'onesto Gianni, imbarazzato dalle improvvise attenzioni della Mata Hari, le ha subite con una freddezza opposta alle turbinose lodi che Moretti gli ha elargito: «Lui rappresenta l'idea di sinistra e di Paese che ho. Gianni è il più vicino alla mia storia politica». Ora, sapendo che Cuperlo è un comunista nostalgico di Berlinguer, vediamo se Alessandra parla sul serio dicendosi della sua stessa pasta.
Vi anticipo che bluffa e ve lo dimostro subito.

Per trent'anni della propria vita, Alessandra Moretti non ha pensato alla politica professionale. Figlia di due insegnanti, papà marchigiano e sindacalista scolastico cigiellino, Alessandra si è laureata in legge, diventando avvocato. Il marito separando, che le ha dato due figli di 7 e 5 anni, è legale pure lui. Questa perfetta routine borghese si è interrotta una prima volta nel 2003 quando l'avvocata si è candidata con i Ds alle comunali vicentine. Fu trombata e nessuno si accorse di lei. Quattro anni dopo, visto l'insuccesso con gli ex comunisti, prese la strada opposta e si ricandidò per le Provinciali con il centrodestra in una lista «generazionale» - Under 35 - che sosteneva Giorgio Carollo, ex capo di Forza Italia nel Veneto. Fece ancora fiasco ma lasciò traccia in uno spot tv in cui rivendica orgogliosa la nuova militanza centrista. «Il centro - dice graziosamente seduta con le gambe accavallate - è il luogo dove gli estremismi non trovano spazio, il luogo ideale per una politica semplice e concreta: cercare i problemi, trovare le soluzioni». Vedete in questo inno alla moderazione un qualsiasi punto in comune, col marxista Cuperlo con cui ora si gemella? La verità è che Alessandra pur di soddisfare il proprio ego è pronta a parecchio. Ieri come oggi.

La carta vincente le capitò l'anno dopo, 2008. Cambiata di nuovo casacca, si mise in lista con Achille Variati, ex dc traslocato nel Pd e aspirante sindaco di Vicenza. Eletti entrambi, Moretti divenne vicesindaco e assessore all'Istruzione. Il primo atto che compì, con lo zelo assatanato di una guardiana della rivoluzione, fu censurare la targa di una scuola. Nell'edificio avevano vissuto nel dopoguerra dei profughi istriani. Nel 2006, l'allora sindaco Pdl, Enrico Huellweck, di cui il Cav era stato testimone di nozze, applicò alla facciata una lapide che ricordava quel soggiorno, firmandola: «Il sindaco, Enrico Huellweck». Alessandra, per pura partigianeria, fece cancellare nome e cognome, salvando la sola dicitura: «Il sindaco». L'asinata mandò in bestia perfino Vairati che costrinse la bella a scusarsi pubblicamente. Lei obbedì senza fare una piega e passò oltre. Poco dopo, ebbe l'incontro che decise la sua vita. Spedita da Vairati a Milano per un convegno di amministratori locali, fu notata dal pd Filippo Penati, allora potente presidente della Provincia meneghina e fiduciario di Bersani.

Filippo della ragazza apprezzò le forme, l'improntitudine, la voglia di emergere. Avvertì il capo a Roma che aveva trovato una tipa tosta, buona anche per le comparsate in tv. Bersani si affidò alla nuova venuta e rimase con le pive nel sacco.

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