L'EDITORIALE Ma chi è che indaga sulla P5 dei giudici?

Quei pm combattenti, i più esposti nelle grandi cro­ciate moralizzatrici, sono eroi della legalità o fun­zio­nari dello Stato che tradiscono il dovere dell’im­parzialità e fanno politica?

L'EDITORIALE 
Ma chi è che indaga 
sulla P5 dei giudici?

Ma i pm combattenti, i più esposti nelle grandi cro­ciate moralizzatrici, sono eroi della legalità o fun­zio­nari dello Stato che tradiscono il dovere dell’im­parzialità e fanno politica? La seconda che ho det­to, questa è la univoca risposta alla mia domanda retorica. Gian­carlo Capaldo è sostituto procuratore in Roma. Se ne parla come di un magistrato in crociata. La cricca degli appalti cosiddetta, la cosiddetta P3, altre indagini di vario conio tra cui le dubbie in­chieste sulla ricostruzione dell’Aquila o il sordido caso Fastweb, con quintali di carcerazione preventiva a quel Sergio Scaglia che sta smantellando il processo contro di lui, come ha ricordato ieri Nicola Porro, e monumentali gogne che fanno dei crociati ap­punto degli eroi della legalità apparenti: è tutta roba sua o del suo ufficio, per dirla più correttamente, ed è tutta roba politica, è il nu­cleo originario del nuovo attacco mediatico-giudiziario a pezzi della classe dirigente (che si comporta male,che si fa pagare l’ac­quisto di una casa, che si fa ospitare a pagamento in condizioni grottesche dai collaboratori, e che collaboratori!).

Uno dirà. Vabbè, ma questo Capaldo è un magistrato all’anti­ca, la sera ascolta le sinfonie di Mendelssohn, è fuori dai giochi, la sua carriera è automatica, non lo puoi mai prendere con le mani nel vaso della marmellata, l’integrità professionale è il suo stig­ma naturale, genetico, è uno che sa quanto tu debba non solo es­sere ma apparire imparziale quando hai il potere di carcerare la gente. Poi si scopre che il dottore ha il suo bravo amico avvocato, che si chiama Fischetti,che a casa dell’avvocato difensore di suo figlio incontra il ministro dell’Economia, il suo principale colla­boratore sotto indagine anche nel suo distretto, nel suo ufficio (si parla di Giulio Tremonti e di Marco Milanese).

Richiesto di chiarimenti disciplinari, il dottor Capaldo che cosa fa? Emette un comunicato in cui si formula l’ipotesi che le attenzioni verso di lui, nate da deposizioni di indagati che fanno per così dire «tremare la Repubblica », sarebbero il frutto di un attacco al suo ufficio, al suo lavoro di tutela della legalità, e in particolare un tentativo di delegittimazione legato alla sua prospettiva di carriera, che è o era quella di diventare il procuratore capo di Roma alla scadenza imminente dell’attuale titolare. La cena con Tremonti dall’avvocato amico sarebbe stata un convivio letterario dedicato ad autori greci e latini, questa è la tesi a difesa, e il dottore pm poteva non sapere che intorno ai commensali si stava levando il fumus dell’inchiesta. Non ho alcun elemento per pensare che Capaldo non sia una persona perbene, e con lui i suoi commensali, fino a prova contraria ( del magistrato si occupano adesso i suoi superiori e il Csm). Ma osservo che tutti gli italiani dovrebbero ormai aver capito che questi uffici della pubblica accusa, in molti e documentati casi, sono sedi di partito,i loro titolari fanno politica, selezionano gli interlocutori secondo il grado di comando ministeriale, e poi, se messi in imbarazzo, la buttano in caciara politicante come qualsiasi scadente uomo di partito farebbe al posto loro. Cuginanze sospette, amicizie utili, cene riservate eccetera: cos’è, la P5?

Il nuovo ministro della Giustizia è un magistrato che fa politica da molti e molti anni, suo testimone di nozze è stato Luca Palamara, il capo dei magistrati organizzati in sindacato. Sono fatti privati, ma ci sono fatti privati che parlano di comportamenti pubblici anche nel ceto togato (non uso la parola casta per pudore). Nel Paese in cui un pm uscito in circostanze delicate dalla magistratura, il ottor Antonio Di Pietro, ha messo su una lunga carriera politica e di partito per «sfasciare», come disse, il suo nemico assoluto, il Cav.; in un Paese in cui la sfilza dei titolari di indagini sulla politica entrata in Parlamento o comunque in lotta di fazione è molto lunga e significativa (non faccio i nomi dei D’Ambrosio, Casson, Maritati, De Magistris eccetera, li conoscono tutti); beh, in un Paese così non fa certo notizia il legame amicale tra le parti, tra quelle parti che adesso sono i massimi vertici dell’associazionismo dei magistrati (il partito dei partiti o il sindacato dei sindacati, l’Anm) e il vertice del ministero, peraltro quasi tutto gestito da magistrati. Nel mondo occidentale c’è un solo esempio serio di magistrati autorizzati in qualche senso ad avere ambizioni politiche, è quello americano, un sistema in cui i magistrati sono eletti dal popolo o nominati dal presidente, che riceve un’investitura popolare.

Eppure lì al massimo si nota un «attivismo» dei giudici, che spesso viene aspramente censurato: non un partito dei giudici, come avviene disgraziatamente in questo Paese travolto dal fango e dalla redditività del fango.

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