Bar esploso, non è racket: "Truffa all'assicurazione"

Cade a sorpresa la pista della malavita. Secondo i pm il proprietario voleva intascare i soldi del premio

Bar esploso, non è racket: "Truffa all'assicurazione"

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO: In relazione all’articolo dal titolo “Bar esploso, non è racket: truffa all’assicurazione” si precisa che la sottoscritta Elena Baldi non è mai stata socia del fratello Ivan Luca Baldi, né della ditta individuale “Caffè WiFi”, che gestiva il bar sito in Milano via Volvinio nr. 34 interessato dall’esplosione avvenuta il 12 ottobre 2015 né di altre società. La stessa, inoltre, non ha alcun coinvolgimento nelle indagini condotte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano relativamente all’esplosione avvenuta la sera del 12 ottobre u.s.

Elena Baldi

È come in quella celebre riflessione per cui è «sventurato il popolo che ha bisogno di eroi», che Bertold Brecht fa dire a Galileo Galilei nell'opera dedicata alla vita del grande scienziato. Perché il bisogno di eroi è così forte che si fa presto - troppo - a regalarne l'etichetta. Così basta un fatto di cronaca in cui tutti gli elementi sembrano calzare a pennello per far indossare a qualcuno i panni del martire, della vittima di vendette o intimidazioni. La parte di chi dice no, si ribella, e che per questo paga pegno. Quando oltre un mese fa, la sera di lunedì 12 ottobre, un'esplosione ha distrutto il «Wi-fi cafè» di via Volvinio 34, si è pensato subito al peggio: che fosse un avvertimento da parte del racket.

Il titolare Ivan Baldi aveva fatto sapere di essere un barista «no slot machine», uno di quelli che ha scelto di non mettere nel suo locale video poker o altre «macchinette» con cui «la gente si rovina la vita», aveva detto. Invece adesso è proprio il suo il nome che Silvia Perrucci, la pm titolare del fascicolo in Procura su quell'esplosione, ha iscritto nel registro degli indagati. Insieme a quello di un'altra persona, su cui gli inquirenti mantengono il riserbo. Incendio doloso, è l'ipotesi di reato su cui si lavora: il 38enne, che aveva rilevato il bar poco più di un anno fa (e che un mese prima dell'acquisizione aveva fondato una società con la sorella Elena) avrebbe orchestrato tutto al solo scopo di intascare i soldi del risarcimento assicurativo. Un caso di scuola. Gli elementi per costruire la tesi della minaccia da parte di chi gestisce il racket delle slot machine c'erano tutti: non solo la «scelta etica» più volte sbandierata da parte del titolare, che in più non ha precedenti penali.

Anche la dinamica: un'esplosione potente, che aveva distrutto le vetrine del locale e scaraventato le serrande dall'altra parte della strada, contro la fermata della linea del tram 15. Il resto dei danni lo hanno fatto le fiamme, propagatesi subito dopo. E invece no.Baldi chiude il locale poco dopo le 19, l'esplosione avviene una ventina di minuti più tardi. Una tanica di benzina da tre litri verrà poi rivenuta, durante i sopralluoghi, nella spazzatura. E si scopriranno altre cose: per esempio che il38enne - nonostante la situazione patrimoniale della società non apparisse problematica - stava cercando di vendere il bar. Aveva messo un annuncio di «cessione lampo», voleva chiudere tutto al più presto e trasferirsi in Russia dalla fidanzata.

Anche se il «Wi-fi cafè» lo aveva acquistato solo un anno prima, nell'ottobre del 2014. Si potrebbe supporre che dalla mancanza di acquirenti sia nata l'idea del finto attentato. Sono ipotesi: ma è da qui in poi che dovrà rispondere agli inquirenti che indagano su di lui.

Twitter @giulianadevivo

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