"Adolescence" racconta una giovinezza devastata

Con scioccanti piani sequenza la produzione britannica tratta una violenza che gli adulti non sanno capire

"Adolescence" racconta una giovinezza devastata
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Se c'è una miniserie che può già candidarsi come finalista per l'ipotetico trofeo fiction più raffinata dell'anno è Adolescence, disponibile su Netflix e creata da Stephen Graham e Jack Thorne. In soli quattro episodi racchiude, infatti, una narrazione intensissima portata avanti attraverso lunghissimi ed ininterrotti piani sequenza che caratterizzano ogni puntata. Il regista Philip Barantini e il direttore della fotografia, Matthew Lewis, assieme al resto della troupe trovano continuamente il modo di rendere incredibilmente fluido il movimento della macchina da presa, a prescindere da cosa stia filmando o da dove si stiano muovendo i personaggi. Ma quello a cui sta assistendo il pubblico non è un mero esercizio di stile, quanto piuttosto il modo di potenziare enormemente la trama, di per sé già molto corrosiva e disturbante. Eccola ridotta all'osso: tutto inizia con una irruzione della polizia nell'abitazione di una normalissima famiglia inglese. Gli agenti, entrati in tenuta antisommossa, arrestano un ragazzino di tredici anni, che si fa la pipì addosso per lo spavento. Hanno il difficile compito di stabilire se il piccolo Jamie Miller (interpretato da Owen Cooper) abbia ucciso oppure no, con una scarica di spietate coltellate, Katie, una compagna di scuola bella e popolare. Questa trama, raccontata con un ritmo che non si arresta mai, diventa nelle puntate, ognuna ha la sua particolare declinazione pur nell'unità di stile narrativo, l'occasione per mettere in scena a seconda delle occasioni: un poliziesco; un lavoro sociologico sulla rabbia maschile, sul cyberbullismo e le scuole britanniche in crisi; un thriller psicologico e una tragedia su come, nel XXI secolo, dei ragazzini gli adulti finiscono per sapere poco e nulla.

Ecco forse questa, al di là dell'espediente narrativo, è la forza maggiore di Adolescence, mostrare con un flusso continuo di dialoghi incredibilmente realistici l'abisso che separa i genitori di oggi dai loro ragazzi. Uno dei dialoghi più belli è quello dell'ispettore capo Luke Bascombe con il figlio che va nella stessa scuola della vittima e del presunto colpevole. Ad un certo punto il ragazzo mostra al padre come leggere i messaggi su Instagram, dove gli emoticon nascondono un mondo di violenza e di insulti in grado di destabilizzare un ragazzino che il poliziotto non era in nessun modo in grado di vedere.

Da aggiungere che se tutti gli attori sono bravissimi, a partire da Stephen Graham nella parte del padre dell'accusato, i giovani sono veramente

incredibili. Soprattutto Owen Cooper nella parte di un ragazzino che, al di là della colpevolezza o innocenza, viene travolto da qualcosa di molto più grande di lui, e che in nessun modo è in grado di comunicare alla sua famiglia.

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