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Ci siamo rifugiati nel ricordo di Nadia Cassini, donna la cui fortuna fu inversamente proporzionale alla bellezza e icona di un'epoca che purtroppo non c'è più

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In una giornata come ieri in cui la cronaca guardava all'indietro di 80-60 anni, dai dibattiti filologici sul Manifesto di Ventotene ai nuovi documenti sull'omicidio Kennedy, amarcord per amarcord, abbiamo preferito rifugiarci nel ricordo di Nadia Cassini, donna la cui fortuna fu inversamente proporzionale alla bellezza e icona di un'epoca che purtroppo non c'è più, in cui le donne non erano solo belle ma femminili, senza per forza sentirsi femministe.

E sognando ancora di lei, intuendo la libertà perduta, abbiamo immaginato come un'attrice di quella stagione molto sfrontata si sarebbe trovata in questi anni troppo corretti. Nadia Cassini, e come lei tante infermiere, liceali e professoresse, posò per Playmen e Playboy. In pagina c'erano già pezzi di chirurgia estetica, Io questa me la rifaccio, di maschi impegnati in lavori di casa, Scusa, vuoi lavare l'auto con noi?, e persino sul rapporto fascismo e maschilismo: Benito lo svelto.

Oggi quelle riviste si chiamerebbero Playpersons, in copertina ci sarebbe BigMama - «Voglio un figli*» da Victoria dei Måneskin»-, il calendario della Rohrwacher, strisce di Fumettibrutti, poster di Elly Schlein e Elodie al GayPride e articoli - ahimè, non più di Guido Vergani, Oreste Del Buono e Giancarlo Fusco ma di Antonio Spadaro, Chiara Valerio, Francesco Piccolo (Elogio del MeToo) e intervistone a una intimacy coordinator: «Come ti insegno a tenerlo a posto».

Vabbè, è andata così. Stasera però mi rivedo Quando le donne facevano din-don. So che stanno girando il remake, che mi perderò: ... e gli uomini facevano Zan Zan.

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