
nostro inviato a Tel Aviv
I carri armati israeliani tornano per le strade della Striscia di Gaza, dove l'esercito lancia una nuova operazione di terra che definisce «limitata» per riprendere il controllo di Netzarim, il corridoio che divide in due il Nord dal Sud della Striscia. La tregua sembra un ricordo lontano nel secondo giorno di combattenti seguito a due mesi di cessate il fuoco. Le vittime dei raid israeliani sono almeno 436 e le Forze Armate ordinano ai civili palestinesi l'evacuazione dalle zone di battaglia, chiedendo di dirigersi verso i rifugi nella parte occidentale di Gaza City e nelle aree protette di Khan Younis. Il primo ministro Benyamin Netanyahu, in visita alla base dei combattenti sotto copertura della Border Police della Cisgiordania, annuncia che un fronte più ampio potrebbe aprirsi non solo a Gaza, ma proprio nel West Bank, l'area che gli israeliani chiamano Giudea e Samaria.
La guerra è ripartita con l'obiettivo ufficiale di fare pressione su Hamas per riportare a casa i 59 ostaggi ancora in mano ai terroristi a 530 giorni di distanza dalla mattanza del 7 ottobre 2023. «Se non saranno rilasciati tutti e Hamas non sarà espulso da Gaza - tuona il ministro della Difesa Israel Katz - Israele agirà con forze che non avete ancora conosciuto. Sarà la distruzione totale e la rovina». «Accettate il consiglio del presidente Usa - avverte ancora il ministro - Restituite gli ostaggi, rimuovete Hamas e vi si apriranno nuove possibilità, tra cui la partenza per altri luoghi del mondo per chi lo desidera».
Ma a Gerusalemme e Tel Aviv la protesta contro la ripresa dei combattimenti infiamma la piazza, dove i manifestanti contestano la linea dura del governo di Benjamin Netanyahu, convinti che metta a repentaglio la vita dei 59 ostaggi ancora a Gaza. Scontri con la polizia si sono verificati a Gerusalemme, dove in migliaia si sono radunati in mattinata davanti alla residenza privata del primo ministro a Gerusalemme e hanno tentato di sfondare le barricate. Le proteste sono riprese anche in serata sia a Gerusalemme che a Tel Aviv, dove i manifestanti protestano anche contro la rimozione del capo dello Shin Bet, Ronen Bar, annunciata dal premier e che potrebbe essere decisa formalmente dall'esecutivo già oggi. Proprio l'intelligence interna israeliana sta indagando sul cosiddetto Qatargate, le rivelazioni che hanno rivelato un meccanismo di trasferimento dei fondi dal Qatar ai consiglieri del primo ministro.
Se da una parte il capo del governo sostiene che la pressione militare su Hamas sia indispensabile per riportare a casa gli ostaggi, dall'altra cresce il sospetto dell'opinione pubblica che «Bibi» - come viene chiamato il primo ministro - stia agendo per offuscare e allontanare nuovi e vecchi guai giudiziari. Il premier è infatti già sotto processo per corruzione ma le udienze sono state nuovamente rinviate a causa della ripresa del conflitto a Gaza.
Le cancellerie europee e arabe chiedono a gran forza la ripresa delle trattative con Hamas, che «infrangono le speranze di pace». I terroristi sostengono di non avere chiuso la porta dei negoziati, ma accusano Israele di prendere di mira sistematicamente gli operatori umanitari. Un ordigno ha colpito una struttura delle Nazioni Unite nella Striscia di Gaza, uccidendo due membri dello staff. Israele sostiene di non aver colpito l'edificio e il segretario generale dell'Onu chiede un'indagine completa.
Gli Stati Uniti, intanto, continuano a combattere contro gli altri membri del cosiddetto «asse del male», i ribelli Houthi dello Yemen. Nuovi raid hanno colpito la capitale yemenita Sana'a e il nord del Paese.
Donald Trump avverte l'Iran, sotto la cui regia i gruppi si muovono, e chiede a Teheran di interrompere il sostegno agli islamisti che attaccano le navi e promette in un post su Truth che gli Houthi saranno «completamente annientati».
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