Così Hitler bruciò lo spirito tedesco (a partire dai libri)

Marino Freschi racconta la follia incendiaria dei nazisti che colpì il meglio della letteratura

Così Hitler bruciò lo spirito tedesco (a partire dai libri)
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Lo aveva intuito Heinrich Heine (1797 - 1856) e lo aveva riassunto in un verso, rovente, della sua tragedia Almansor del 1823: «Là dove si bruciano i libri, si finisce per bruciare gli uomini». Ma Heine pensava di guardare all'indietro, alla ferocia dell'inquisizione spagnola o delle guerre di religione in Germania. Non pensava che la sua potesse essere una precognizione del futuro tedesco. Invece a partire dal 10 maggio 1933 la Germania fu costellata di roghi di libri che erano solo il triste innesco di carta dell'annientamento di milioni di persone.

A raccontare nel dettaglio come si sia sviluppata questa folle caccia alle idee del nemico e come, al contrario, ci siano stati anche dei coraggiosi disposti a rischiare per difendere la cultura lo racconta il germanista Marino Freschi in Il rogo dei libri. Una tragedia tedesca (Castelvecchi, pagg. 170, euro 20). L'inizio della violenza contro le idee, contemporanea a quella contro le persone, è rintracciabile in quel 15 marzo 1933 in cui i paramilitari delle «Sa» assaltarono la Künstlerkolonie, la «colonia degli artisti». Era un vasto isolato a Laubenheimer Platz, a Berlino, abitato da moltissimi artisti e intellettuali. Giusto per fare qualche nome: Ernst Bloch, Alfred Kantorowicz, Ludwig Renn... Tra le altre violenze gli assalitori in camicia bruna caricarono di libri rubati svariati cesti di biancheria. E poi ne fecero un gigantesco falò. Era l'inizio di una serie di azioni miranti ad eliminare ogni cultura divergente da quella nazista che ebbero come principali ispiratori Baldur von Schirach (1907 - 1974) e il fanatico antisemita, nonché ministro della cultura, Bernhard Rust (1883 - 1945). Solo il successo di pubblico di questi roghi di libri e di assalti alle istituzioni culturali convinse a posteriori Goebbels a intestarsene la putrida paternità. In un crescendo di delirio dove la caccia all'arte «degenerata» e all'ebreo si mischiavano - producendo affermazioni schizofreniche come: «Un ebreo può pensare solo da ebreo. Se scrive in tedesco mente» - si arrivò alla messa in scena macabra di una cerimonia di espiazione parareligiosa. La notte del 10 maggio, nonostante la pioggia, vennero messi al rogo venticinquemila volumi. In una coreografia da Notte di Valpurga ma con i pompieri a sorvegliare che funzionasse tutto. Finirono bruciati i libri di Joseph Roth e di Stefan Zweig. Quelli di Sigmund Freud. Anche quelli del pacifista Erich Maria Remarque. I relitti carbonizzati dei volumi vennero poi venduti, estremo sfregio, come souvenir.

Era l'inizio di un'era di terrore a cui inizialmente gli intellettuali reagirono anche con una certa incomprensione della portata del fenomeno. Klaus Mann, uno degli autori le cui parole erano state carbonizzate, alla notizia commentò: «Un infantilismo barbarico. Ma che anche mi onora». Oskar Maria Graf protestò perché i suoi libri non erano stati bruciati. L'anno seguente, nel 1934, fu accontentato, i suoi libri vennero bruciati nel cortile interno della università di Monaco di Baviera in un falò organizzato appositamente. Si racconta anche che Freud con ironia commentasse: «Come è progredito il mondo: nel medioevo avrebbero bruciato me».

Ma la Germania nazista si peritò di dimostrare che almeno in questo caso il padre della psicoanalisi si stava sbagliando. Gli intellettuali dalla Germania dovettero fuggire in massa. Molti si suicidarono: Ernst Toller, Walter Benjamin, Stefan Zweig, lo stesso Klaus Mann anche se dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Ci fu anche chi reagì come Alfred Kantorowicz (1899 - 1979) che a Parigi, il 10 maggio 1934, simbolicamente inaugurò, col sostegno di molti intellettuali tra cui H. G. Wells, la Biblioteca tedesca della libertà, ovvero la biblioteca dei libri bruciati. All'arrivo delle truppe tedesche in Francia anche questa venne distrutta.

Ma per quanto i nazisti si siano impegnati allo spasimo anche in questo Bibliocausto i libri sono ancora qui, mentre il Reich millenario di Hitler è durato soltanto 12 anni.

Quanto tempo servirà per chiudere per sempre la ferita provocata alla cultura tedesca resta difficile da capire secondo Marino Freschi: «Su quel rogo all'Opernplatz la Germania aveva bruciato se stessa».

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