
Ci sono frasi in grado di descrivere una situazione meglio di mille trattati e dotti saggi. «La comunità hippy» a cui il Primo Ministro Meloni ha paragonato una certa sinistra è certamente uno degli esempi meglio riusciti di tale capacità di sintesi.
Il vocabolario Treccani definisce gli hippies come un movimento, diffuso negli anni '60 e '70, che, rifiutando norme e costumi sociali, predica l'amore universale. La vita in comunità, la contestazione delle leggi economiche e politiche che regolano la vita delle persone e delle nazioni, ne hanno fatto potente elemento di ispirazione per artisti, musicisti ed intellettuali. La negazione della realtà e la velleitarietà ne dovrebbero fare un potente repellente per chiunque si candidi a governare un paese.
Le contraddizioni di tale cultura erano visibili fin dai suoi esordi, eppure evidentemente hanno innervato un pezzo della nostra politica tanto da sopravvivere ancora oggi. Mentre nelle università americane ed europee risuonavano gli slogan «peace and love» e «mettiamo i fiori nei nostri cannoni», mentre le basi militari della Nato erano circondate dai cortei pacifisti e antinucleari, quelle stesse basi difendevano l'occidente da un regime, quello sovietico, che, ove avesse prevalso, per prima cosa avrebbe vietato i simboli stessi di quel movimento che, consapevolmente o inconsapevolmente, remava a favore di quello stesso regime. Basti pensare che in Urss era vietata quasi tutta la musica e la letteratura che ha ispirato i movimenti beat del secolo scorso. Esiste un buonismo che mette serenità nelle coscienze e che può conquistare la benevolenza dell'opinione pubblica, ma che si trasforma in ipocrisia se letto con la lente della logica e può diventare tragedia se interpretato da chi deve governare applicando la politica. Ed è ciò che la felice sintesi di Giorgia Meloni ha colto ieri dal palco di «Azione». Difficile immaginare che, nella scala valoriale di un normale essere umano, un cannone sia preferibile ad un libro, una caserma ad una scuola, una recinsione più attrattiva del giardino fiorito che custodisce. Eppure, la storia lo insegna, ma quasi sempre ogni politica di opposizione lo dimentica per ipocrisia, se leggiamo liberamente i testi che più ci aggradano è perché qualche cannone, in passato, ha difeso questa facoltà. Se nella scuola si custodisce la libertà di insegnamento è perché una vicina caserma ha impedito a qualcuno di imporre il suo pensiero unico. Se ci godiamo l'erba verde del giardino è perché una cancellata lo protegge dalle altrui scorribande. Immaginare e proporre come ricetta politica un mondo dove tutti i valori in cui crediamo siano rispettati per benevolenza, dove non esista la prevaricazione, se è irrealistico per tutti, diventa pericolosamente ipocrita per chi si candida ad un ruolo di governo.
È l'assemblea studentesca che proclama l'occupazione dell'istituto per evitare la fatica dello studio: scusabile nella irruenza della gioventù, imperdonabile nella maturità di ogni genere di leadership. Eppure, ciò accade anche oggi nel cosiddetto campo largo che va dalla sinistra estrema agli epigoni neocentristi. Una coalizione che, nella sua stragrande maggioranza, inneggia alla pace senza se e senza ma, ma osteggia Trump quando ricerca quella pace nel dialogo con Putin. Una alleanza di partiti che caldeggia la rottura dell'asse tra Usa e Europa, ma pretenderebbe che l'America si facesse ancora carico della nostra sicurezza, rifiutando ogni riarmo europeo. Un progetto politico che scende in piazza per il diritto internazionale, patrimonio inviolabile, ma che dovrebbe autotutelarsi, perché nessuno vuole impegnare un uomo o un euro per difenderlo.
In fondo, quella cultura hippie, individuata dal Premier come simbolo della attuale confusione politica nella sinistra europea, incarna ben di più. Incarna le contraddizioni e le ipocrisie di una politica abituata a proporre l'ideale all'opinione pubblica e a rifuggire da ogni sforzo per raggiungerlo. Un bene senza prezzo da pagare: sicurezza, con i soldati altrui, benessere, con meno lavoro, meritocrazia, senza competizione, più diritti, senza doveri.
E incarna anche le contraddizioni di due generazioni cresciute all'ombra di una pace e di un benessere che ci hanno consentito di vivere serenamente le nostre inconciliabili pulsioni: applaudire la rock star che inneggia alla collettivizzazione e protestare se troviamo il posto auto occupato dal vicino, lamentarsi del lassismo educativo e maltrattare i professori che danno un brutto voto, indignarsi per l'insicurezza della città e processare il poliziotto che impugna la pistola. Oggi quel mondo che ci ha consentito il lusso di tante contraddizioni sembra essersi brutalmente messo in moto e bussa alla nostra posta. E lo fa con il calcio di un fucile. Nel futuro che si sta disegnando non basta più aver ragione, bisogna attrezzarsi per difendere quella ragione.
E chi fino a ieri, in divisa verde, difendeva la libertà delle «camicie a fiori» e dei «capelloni» non sembra aver più tanta voglia di farlo.Per difendere la libertà è giunto il momento di aprire l'epoca della responsabilità. Anche per la comunità hippy.
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