
L'elettore che dovesse accostarsi alla legge 91 del 1992 - quella sulla cui modifica saremo a breve chiamati a decidere con un referendum cercando di cogliere, al di là dell'articolo 9 sottoposto a giudizio, lo spirito dell'attuale norma sulla cittadinanza italiana si accorgerebbe subito come la narrazione corrente non sia né del tutto rispondente al contenuto della norma, né rispettosa degli intendimenti di chi a suo tempo l'ha concepita. Se poi volesse anche spingersi a valutare gli effetti che tale legge ha prodotto nel Paese, in termini di acquisizioni e riconoscimenti della cittadinanza italiana, lo stupore del nostro potenziale elettore verrebbe ulteriormente accresciuto. Vediamo brevemente i perché.
Per quanto sia spesso etichettata dai «soliti ben informati» come inadeguata e fuori dal tempo, la Legge n. 91/1992 «Nuove norme sulla cittadinanza italiana» non solo si dimostra sempre più efficace sul piano dei risultati prodotti - come vedremo tra poco ma appare anche rispettosa di un solido principio tradizionalmente condiviso dalla gran parte degli italiani: la centralità del legame parentale in linea retta. A tutt'oggi la trasmissione dai genitori ai figli resta, infatti, la via naturale attraverso la quale questi ultimi ricevono elementi di accreditamento: il nome, lo status sociale, la rete di relazioni, il contesto entro cui vivere. E la cittadinanza non è che una, delle tante «assegnazioni» che i figli ricevono da chi li ha messi al mondo. Al pari dei beni materiali con cui vengono iniziati ad una vita più o meno agiata o che costituiscono la quota dell'eredità «legittima» (intangibile) cui alla fine accedono. Ma allora perché sorprendersi se una legge stabilisce che chi ha un genitore italiano riceve, tra le altre cose, la cittadinanza italiana e chi, ad esempio, lo ha cinese ottiene quella cinese? Naturalmente non è detto che lo status così ricevuto, al pari delle condizioni di vita e di quant'altro trasmesso, debba necessariamente restare immutabile. Scorrendo la Legge 91 si ha subito modo di verificare come proprio la coerente applicazione del principio di trasmissione familiare dello status di cittadino possa dare origine a un cambiamento. L'articolo 14 stabilisce infatti che: «se un genitore (straniero) diventa italiano, anche tutti i minori a suo carico lo diventano, subito ed incondizionatamente, salvo poter liberamente decidere, da maggiorenni, un ritorno alla cittadinanza originaria».
È anche il caso di sottolineare come l'effetto pratico di questo articolo sia particolarmente importante e produca effetti del tutto tangibili. Ad esempio, se prendete dalle statistiche Istat sui residenti il dato relativo al numero di bambini stranieri che hanno cinque anni al 1° gennaio 2023 (64.906) e lo confrontate tramite la stessa fonte con quanti hanno sei anni al 1° gennaio 2024 (63.568), scoprirete che sono «scomparsi» ben 1.368 bambini stranieri. Nulla di drammatico. I mancanti sono solo una parte delle decine di migliaia di bambini non più stranieri. Sono quelli che, nel corso del 2024, sono diventati italiani «per trasmissione da un genitore» in forza del citato articolo 14.
Ma allora come la mettiamo con i discorsi sulle centinaia di migliaia di minori in stand-by; ossia quei bambini e ragazzi che per diventare italiani devono attendere la maggiore età (se nati in Italia) o completare il lungo iter di naturalizzazione (se immigrati)?
La verità vera è che il meccanismo della trasmissione intrafamiliare (ex articolo 14) fa silenziosamente il suo dovere e lo fa, piaccia o meno a qualcuno, proprio tagliando i numeri degli ipotetici candidati agli jus soli, jus scolae e varianti simili.
In ultima analisi, se passiamo dalle parole ai numeri, la «vecchia» legge 91/1992 che tra poco verrà messa alla prova dal referendum - ha ampiamente dimostrato di essere ancora in grado di fare la sua bella figura. Dal 2011 al 2023 si sono registrate in Italia circa 1,7 milioni di acquisizioni di cittadinanza e nell'ultimo bilancio demografico dei residenti stranieri (2023) se ne contano 214 mila.
Se pensiamo che in quello stesso anno i neonati italiani (nati tali) sono stati solo 328 mila, viene da chiedersi se sia stato veramente il caso di mettere in piedi un referendum per cambiare una normativa che, a conti fatti, è ancora capace di alimentare quasi la metà (il 40%) del flusso totale dei nuovi cittadini italiani.*Ex presidente dell'Istat
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