
Un dato appare chiaro: in Italia, per il momento, è difficile immaginare (si potrebbe anche utilizzare il termine impossibile) una crisi di governo sulla politica estera. Le parole volano nella maggioranza, a volte anche poco cortesi - per usare un eufemismo - ma pure dall'etimologia dei termini usati si evince che nessuno pensa ad una rottura. Matteo Salvini colleziona distinguo ma poi definisce il rapporto con gli alleati «splendido», «ottimo». Mentre il ministro degli esteri Antonio Tajani usa l'espressione siculo-sciasciana di «quaquaraquà». Il significato è descritto da un conterraneo di Sciascia, il vicepresidente della Camera, il forzista Giorgio Mulè: «senza spina dorsale». Tradotto in politica vuol dire che gli uomini della Lega abbaiano ma non mordono.
Quindi, la stabilità dell'esecutivo è garantita e dovrebbe essere un elemento di forza e rendere felice innanzitutto Giorgia Meloni. E fin qui siamo d'accordo. Solo che ridurre la politica estera ad argomento di polemica, elettoralistico, identitario in un momento complicato e tragico sul piano internazionale come l'attuale non giova a nessuno. Il problema non sono le telefonate tra il vicepresidente Usa e il vicepresidente del consiglio italiano che sono legittime e magari possono anche aiutare il rapporto tra i due Paesi e non vanno interpretate come un tentativo di «scavalco» o di confusione di ruoli visto che la politica estera del governo, su questo non ci piove, è prerogativa della premier e del ministro degli Esteri. Semmai bisogna considerare il fatto che non avere una posizione compatta sul rapporto da tenere con l'Europa o con gli Stati Uniti, sulle scelte da compiere nella guerra dei dazi e sul giudizio da dare sul conflitto russo- ucraino e sulle relative ipotesi di pace, limita il peso che l'Italia potrebbe avere nella Ue a livello internazionale. L'assurdo è che queste difficoltà si riverberano anche nell'opposizione di sinistra (vedi Pd e grillini), magari portando alla luce distanze ancora maggiori e condizionanti tra partiti che sulla carta dovrebbero dar vita ad una possibile alternativa di governo.
Eppure una volta, quando il mondo almeno sul piano degli schieramenti era più facile visto che c'erano solo due opzioni, la Nato o il patto di Varsavia, ogni programma di governo dedicava due paginette alla collocazione dell'Italia nel mondo: se non c'era una condivisione di vedute e di intenti non nasceva nessun esecutivo. È la ragione per cui il Pci è stato fuori dalla stanza dei bottoni per quarant'anni.
Ora, invece, mentre assistiamo ad una guerra nel continente e una a sud in Medio Oriente, cioè a due passi da casa nostra, l'argomento si salta piè pari. E quest'assenza di chiarezza si riflette sul ruolo a cui l'Italia potrebbe aspirare a livello globale. Tutto è lasciato all'intraprendenza della Premier, che in questi due anni ha dimostrato di essere capace, ma quando la situazione si complica, quando a Washington un giorno si e uno no mettono in discussione i riferimenti di una vita come l'Alleanza Atlantica o il rapporto privilegiato tra Stati Uniti e Europa, la condizione di una maggioranza in cui c'è la moda del distinguo e un'opposizione che gareggia a rincorrersi in un Parlamento in cui la politica estera è usata a fini elettorali come qualsiasi provvedimento casalingo, ebbene, di certo non l'aiuta.
Per cui il dato che non ci sia nessuna ipoteca sulla durata del governo è sicuramente positivo, ma non preclude una riflessione sul perché in momenti così topici il nostro Paese, nella sua maggioranza e nella sua opposizione, non trovi dei momenti di unità magari conditi da qualche compromesso. Perché, ad esempio, l'Italia non può essere come la Germania in cui una maggioranza che mette insieme popolari, socialisti e addirittura verdi, trova un'assonanza che la porta addirittura a cambiare la Costituzione per dar vita ad un mastodontico piano di riarmo che assicuri difesa e sicurezza alla nazione? O perché il nostro Paese deve invidiare l'Inghilterra dove il governo laburista sul tema dell'Ucraina e della difesa trova un punto di incontro con i Tory e addirittura con l'unico sovranista che è riuscito a portare il suo paese fuori dalla Ue, cioè Farage?
Tanto più che la politica estera, a differenza chessò della riforma fiscale o dell'immigrazione, non
porta voti, quindi, è il terreno meno adatto per polemiche a sfondo elettorale o che mirino al consenso. Sono polemiche che nello specifico finiscono per mortificare solo l'immagine del paese e della sua classe dirigente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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