L'etica è nata dai rapporti di lavoro

L'economista e nobel James M. Buchanan così spiegava le radici della morale

L'etica è nata dai rapporti di lavoro
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C'è un epigramma del poeta Andrea Zanzotto che rende bene la sensazione provata da molti nell'accelerazione della globalizzazione e nell'avvento di un capitalismo sempre più tecnologico e basato sui consumi: «In questo progresso scorsoio/ non so se vengo ingoiato/ o se ingoio». Descrive bene una sensazione di ingiustizia diffusa, di difformità tra ciò che facciamo e ciò che il mondo ci restituisce, anche brutalmente nei termini del guadagno. Del resto negli anni scorsi siamo stati tutti, chi più chi meno, fagocitati in un dibattito sulle disuguaglianze in aumento. La vittima principale sarebbe la classe media. Tagliando la questione a colpi d'accetta si può dire che l'impressione trasmessa da gran parte del dibattito è che ci sia una crescente disconnessione fra sforzo personale e guadagni.

Una bella pugnalata a quella che potremmo chiamare etica del lavoro di weberiana memoria. Ma è proprio solo e soltanto così? Una riflessione interessante sul tema la si può trovare nella raccolta di saggi a firma del premio Nobel per l'economia James M. Buchanan (1919 - 2013) pubblicata da Liberilibri e che vanta anche una bella introduzione a firma di Alberto Mingardi. Si intitola: Perché dobbiamo lavorare di più e risparmiare di più. Il valore economico dell'etica del lavoro (pagg. 140, euro 16). Il volume raccoglie le conferenze tenute da Buchanan all'Università dell'Oklahoma nell'ottobre del 1991 e poi pubblicate come Ethics and Economic Progress nel 1994. Di quel libro costituiscono il nucleo principale - a essi venne aggiunta una seconda parte, dedicata ad argomenti affini. L'interesse per i temi al centro di questi saggi trae origine da un episodio molto ordinario e personale. Una domenica Buchanan voleva vedere le partite dei playoff di football ma si sentiva in colpa all'idea di starsene seduto su un divano per quindici ore in due soli giorni. Risolvette la questione ricordandosi di aver raccolto delle noci. Decise di «prendere alcune scodelle, uno schiaccianoci, un martello e un vecchio ferro da stiro da tenere in grembo, e di rompere i gusci mentre guardavo la televisione per ore».

Riflettendoci, Buchanan capì di essere mosso da un principio morale, probabilmente instillato in lui dall'essere cresciuto «in un ambiente presbiteriano scozzese-irlandese, in pieno Tennessee». Ne deduce l'importanza personale dell'occupazione del fare. Della sua funzione etica. Se si fosse limitato a questo, il suo non sarebbe un contributo così significativo. Buchanan fa qualcosa di più. L'interrogativo da cui muove è se il mettersi a sgusciare le noci durante la partita non sia anacronistico. Se l'imperativo morale del fare non sia l'eco lontana di un'abitudine invalsa in un'economia di sussistenza, che «non ha pertanto senso né valore nella complessa economia moderna». Per dirla come Keynes che credeva nella fine del bisogno: «Per ancora molte generazioni l'istinto del vecchio Adamo rimarrà così forte in noi che avremo bisogno di un qualche lavoro per essere soddisfatti». Insomma un anacronismo. Buchanan a questo risponde in punta di teoria.

Secondo lui l'etica del lavoro, l'inquietudine personale che ci suggerisce che lavorare è bene e oziare non lo è, può essere considerata lo strumento con cui «interiorizziamo l'esternalità della scelta del lavoro». E quindi, anche in modi che sicuramente non comprendiamo, un lungo processo di evoluzione culturale può averci inculcato una norma etica che in effetti ci avvantaggia, vale a dire che siamo più prosperi con l'etica del lavoro che senza. Nel secondo saggio il ragionamento si estende anche al risparmio.

La visione d'insieme che ne esce è diametralmente opposta a quella dei profeti della «fine del lavoro»: l'etica, la cultura delle persone giocano un ruolo cruciale, nel consentirne il benessere.

Nel terzo saggio Buchanan sostiene che «le norme etiche possono trovare in parte la loro spiegazione, e la loro forza, nel processo contrattuale implicito che caratterizza l'attività di una comunità morale». Insomma, esiste un'etica nata dal lavoro che mantiene il senso del lavoro e del benessere. Picconandola sempre che cosa può accadere? Buchanan suggerisce che è meglio non scoprirlo. Potrebbe aver ragione.

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