
Ci sono tanti modi per riascoltare Franco Battiato. Con le sue canzoni. Con la memoria. O anche con le parole, le sue parole, pronunciate nelle interviste, in tv e in radio nel corso soprattutto degli ultimi quarant'anni. E l'effetto - sorpresa! - è pressoché identico. Franco Battiato è scomparso accidentalmente nel 2021 ma resta ancora ben presente grazie a un'architettura intellettuale che non invecchia, che pulsa vigorosa non solo nelle canzoni, basti pensare a Povera Patria, ma anche negli stralci dei suoi dialoghi con i media. Una sensazione che si prova molto forte leggendo All'essenza, volume di Mondadori firmato da Battiato e curato da Giordano Casiraghi per la Fondazione Franco Battiato. Pagina dopo pagina pare proprio di sentire la sua voce con l'accento catanese diluito nell'italiano colto e di percepire quei sorrisini che spesso accompagnavano le battute, spiegandole.
Nonostante sia stato visto, ascoltato, raccontato, migliaia, milioni di volte, Franco Battiato è tuttora un mistero. Nato nel paese che non c'è (più), ossia Jonia vicino a Catania, fondato dal fascismo e dissolto con la sua fine, vissuto in una dimensione aliena alla maggior parte di noi, ha inseguito una serena saggezza che è altrettanto aliena, perciò affascinante, implacabilmente affascinante, anche quando è prigioniera delle righe di un libro. «Una rassicurante integrità di pensiero», come scrive nella prefazione la nipote Cristina Battiato, presidente della Fondazione dedicata all'artista. Rassicurante ma caotica, ci sarebbe da aggiungere. Come d'altronde è stata caotica, seppure ragionata e meditata, l'evoluzione di Battiato che arriva a Milano negli anni Sessanta come Francesco, poi diventa Franco su suggerimento di Giorgio Gaber, canta pop ma poi vola a Londra e torna con lo stesso sintetizzatore dei Pink Floyd e tira fuori la propria dark side, anzi un'altra side, quella che, nell'enfasi euforica dell'ispirazione, lo porta addirittura a tenere la stessa nota sulla tastiera per più di cinque minuti fino a che il pubblico fischia estenuato. Mestre, anni Settanta dopo «la crisi» del 1973. Lì c'era già, in nuce, il Battiato che diventa popolare pochi anni dopo rimanendo sempre «altro da tutto», talvolta persino da se stesso, smentendosi magari a distanza di poco ma chi se ne importa.
C'è un respiro così alto e largo in questo Battiato che parla di politica, di cinema, di droga, di educazione, di tutto, persino di alimentazione, che All'essenza colma l'assenza, riempie il vuoto fisico di un artista morto nel 2021 ma già assente da tanto tempo. «La cosa che mi ha affascinato in Stockhausen, e penso sia la sua caratteristica vincente, è la sua non appartenenza a questo mondo», ha detto una volta, e sembra di ritrovare il suo identikit. C'è il Battiato da ascoltare. E quello da leggere. Qui si legge ascoltandolo. «La politica è come le correnti marine. Lasci l'ombrellone, ti butti e in un attimo ti ritrovi al largo».
«Quando Nanni Moretti mi ha chiesto il permesso di usare E ti vengo a cercare nel film Palombella rossa mi divertiva l'idea di essere preso in giro. Macché. Lo aveva fatto seriamente». Dopotutto, quando sei alieno alla normalità, trovi sempre faceto ciò che gli altri pensano serio.
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