Novanta giorni per rifare la Ue

Con la sospensione dei dazi Trump fornisce all’Europa l’occasione per ripartire, correggere i suoi errori e mettersi finalmente in corsa nel nuovo scenario mondiale. Speriamo di coglierla

Novanta giorni per rifare la Ue
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Novanta giorni, il conto alla rovescia è partito il 9 aprile. Corrisponde alla sospensione dei dazi mondiali annunciata da Donald Trump. Ma può trasformarsi anche in una straordinaria occasione: senza volerlo il presidente Usa ha dato all’Unione europea l’opportunità di fare un esame di coscienza, correggere la montagna di errori fatti in questi ultimi 15 anni e ripartire diventando finalmente un protagonista dei nuovi equilibri mondiali. Ponendosi sullo stesso piano di Cina, Usa e Russia.

In questi 90 giorni Bruxelles deve fondamentalmente fare tre cose. La prima è negoziare i dazi con Trump; la seconda – che è condizione necessaria per poter negoziare come si deve – è costruire una nuova cornice di principi economici e finanziari condivisi che la rendano competitiva e compatta; la terza è ripensare una governance che permetta di gestire se stessa con maggiore rapidità ed efficienza.

Il primo punto è in fin dei conti il più semplice: preparare un negoziato che trasformi lo zero-a-zero calcistico evocato da Giorgia Meloni in un accettabile dieci-a-dieci: accettare diritti doganali al 10% in cambio dell’abbassamento di quelli già esistenti su acciaio e alluminio e auto allo stesso livello. Per rendere ciò sostenibile è però fondamentale agire sugli altri due punti.

Il secondo è quello di un quadro di principi economici che facciano piazza pulita delle ideologie che hanno danneggiato intere filiere industriali europee, soprattutto nel corso della prima Commissione von der Leyen. Ripensando il green deal, tanto per iniziare, ma non solo: ricordiamo anche la riforma delle accise, che sta per arrivare sulle imprese italiane come una mannaia, e tante altre direttive e norme (su imballaggi, etichette, supply chain, solo per citarne alcune). Serve un approccio più pragmatico, da condividere con le Confindustrie degli Stati membri e con i grandi Politecnici universitari per alzare il livello della competizione senza per questo rinunciare a un ambiente climatico migliore (si pensi a tutto il campo dei biocarburanti, per esempio). E poi, per completare il quadro, servono gli eurobond: un meccanismo che permetta di finanziare le iniziative comunitarie senza la paura che il debito comune sia un fardello che passa dalle spalle di chi non ce l’ha a quelle dei Paesi più indebitati. L’eccezione virtuosa del Covid, con il Next generation Eu e il Pnrr dovrebbe indicare la strada.

Infine la governance: perché Trump sconvolge il mondo nel giro di poche ore? Perché la più grande democrazia mondiale può essere governata con semplici “ordini esecutivi”: una firma del presidente su un foglio di carta nel cortile della Casa Bianca e via. Nella Ue, invece, servono riunioni su riunioni e l’unanimità di 27 Paesi membri: si parte già sconfitti. Ora, senza bisogno di arrivare agli ordini esecutivi, improponibili anche per un singolo Stato membro, basterebbe passare a decisioni con la cosiddetta “cooperazione rafforzata” o a maggioranza semplice o qualificata, dando eventualmente la possibilità a chi non è d’accordo di sfilarsi (come nel caso dell’euro). Insomma, un meccanismo certo che permetta, in casi urgenti anche nel giro di 24 ore, di assumere una decisione su determinate materie prestabilite.

Tre punti, semplici, su cui Trump ci

ha costretto, inconsapevolmente, a rendere la Ue meno incompleta di quel che è. O forse l’ha fatto per il motivo opposto, per dividerci e auto-condannarci all’irrilevanza. A noi europei la responsabilità di cosa scegliere.

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