Cattivo o buono, fu braccio violento e mente introspettiva del grande cinema

Soldato, astronauta, sacerdote, cowboy e poliziotto. Un uomo per tutti i generi

Cattivo o buono, fu braccio violento e mente introspettiva del grande cinema
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Il sito IMDb, cioè il database del cinema, registra ben 101 interpretazioni con l'ultimo ruolo in Due candidati per una poltrona del 2004, poco prima del ritiro dalle scene. Sono trascorsi 20 anni, ma Gene Hackman, morto ieri a 95 anni in casa insieme alla moglie, è sempre presente nell'immaginario collettivo come uno degli attori di Hollywood più eclettici e riconoscibili.

A differenza dei suoi grandi colleghi di poco più giovani, ma che hanno esordito al cinema nei suoi stessi anni, come Jack Nicholson, Robert De Niro, Dustin Hoffman o Al Pacino (che però non hanno un asteroide a loro intitolato come il 55397 Hackman), Gene Hackman ha iniziato con ruoli secondari, non disdegnando mai quelli da non protagonista. Motivo per cui le sue caratterizzazioni, a volte anche brevi, rimangono scolpite nella memoria degli spettatori. È stato tante volte militare (lui che, nato a San Bernardino in California con il nome di Eugene Allen, si arruolò a 16 anni nei Marines), astronauta, sacerdote, poliziotto, cowboy, villain nei cinecomics fino a interpretare il presidente più cattivo di sempre degli Stati Uniti. Perché la sua fisicità, i tratti marmorei del volto, i rabbiosi cambi di umore dei suoi personaggi lo hanno portato a interpretare molto spesso i ruoli del duro grazie ai quali ha ottenuto i premi maggiori, come l'Oscar nel 1972 come migliore attore in Il braccio violento della legge di William Friedkin nel ruolo dell'agente della narcotici newyorchese dai modi spicci e dalla mano pesante e quello, nel 1993, come non protagonista nei panni di un sadico sceriffo in Gli spietati di Clint Eastwood. Proprio con l'amico regista porta al cinema uno dei peggiori presidenti degli Stati Uniti in Potere assoluto. Come poliziotto rimane indimenticabile l'agente Fbi dai metodi sempre poco ortodossi, ma per una buona causa antirazzista, in Mississippi burning Le radici dell'odio diretto da Alan Parker.

Cresciuto nell'Illinois, dove si diploma in giornalismo, torna in California agli inizi degli anni '60 per seguire il sogno del cinema, la sua grande passione fin da quando nella sua cameretta attaccava i poster del suo idolo, Errol Flynn. Si iscrive alla Pasadena Playhouse School dove diventa amico di Dustin Hoffman. Ma ha già trent'anni e, per sbarcare il lunario, tra qualche particina off-Broadway, fa l'autista di camion, il cameriere e il traslocatore.

Esordisce sul grande schermo nel 1964 con Lilith, la dea dell'amore di Robert Rossen, con Warren Beatty che lo prende in simpatia e, tre anni più tardi, lo fa chiamare per interpretare Buck Barrow, il fratello maggiore di Clyde in Gangster story di Arthur Penn, ottenendo la prima nomination all'Oscar come non protagonista.

Da quel momento inizia il suo periodo d'oro sfociato nel successo di Il braccio violento della legge, con tanto di sequel e, oltre al sacerdote di L'avventura del Poseidon di Ronald Neame, eccolo in due ruoli fondamentali del cinema della New Hollywood con Lo spaventapasseri di Jerry Schatzberg (1973) e, soprattutto, con il successivo La conversazione di Francis Ford Coppola in cui interpreta un riflessivo, solitario e filosofico investigatore privato esperto di intercettazioni. Deluso dall'accoglienza di questi due film, Gene Hackman impronta poi tutta la sua carriera a ruoli eclettici, come quello di Lex Luthor, l'antagonista di Superman in ben tre titoli della saga iniziata nel 1978, o a quelli di azione degli anni '80 in Fratelli nella notte, Sotto tiro, Target Scuola omicidi, Senza via di scampo. Una sequela spezzata nel 1988 da Woody Allen che gli regala, nel bergmaniano Un'altra donna, il toccante ruolo di uno scrittore un tempo innamorato della protagonista (Gena Rowlands).

A dimostrazione della versatilità e della maturità

attoriale di un interprete che non si è mai preso troppo sul serio nei panni della star di Hollywood grazie anche a un'innata autoironia dimostrata in alcuni ruoli comici come lo straordinario cameo in Frankenstein Junior.

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