
La sera del 13 marzo di cinquant'anni fa (1975) un gruppetto di militanti di sinistra, appartenenti ad «Avanguardia Operaia», aspettò sotto casa un ragazzino di 19 anni, liceale, con simpatie di destra, e lo massacrò colpendolo alla testa con quella che era un'arma molto in uso a quei tempi: una chiave inglese lunga circa mezzo metro. Il ragazzo si chiamava Sergio Ramelli. Stava parcheggiando il motorino. Entrò in agonia quasi subito e morì quaranta giorni più tardi. Più di dieci anni dopo furono scoperti i colpevoli e processati. Ignazio La Russa, oggi presidente del Senato, assistette i familiari di Sergio come avvocato.
Presidente, quel giorno lei aveva 26 anni. Cosa ricorda?
«Purtroppo non era un fatto così raro. Succedeva con una certa frequenza che un ragazzo di destra venisse aspettato sotto casa e sprangato. Per inciso non capitò mai invece che ci fosse un agguato sotto casa di un ragazzo di sinistra. Io ero coordinatore regionale del Fronte della Gioventù. Vennero nel pomeriggio in via Mancini delle ragazze a dirmelo: Hanno picchiato Sergio, è grave in ospedale. Gli chiesi di andare a vedere come stava. Tornarono molto preoccupate. Da quel giorno, per quaranta giorni, andarono tutte le mattine a trovarlo».
Lei non andò mai?
«No, temevamo che una presenza nostra, riconoscibile, potesse metterlo a rischio. C'erano molti infermieri di estrema sinistra».
Speravate che ce la facesse?
«Sì, a un certo punto sì. Poi arrivò la notizia tremenda».
Negli anni successivi molte volte ci sono stati dei cortei che sfilavano per Milano e gridavano uno slogan veramente infame: «Tutti i fascisti come Ramelli, con una riga rossa tra i capelli»...
«Sì, me lo ricordo. Allucinante. Ma la cosa più allucinante che io ricordi è il giorno del funerale. Siamo andati all'obitorio. A prendere la bara. La chiesa era vicina all'obitorio. Però era vietato fare il corteo. Ci dissero: camminate sul marciapiede. C'erano tutte le corone dei fiori da trasportare. Anche quella del presidente della Repubblica, Leone. Però il presidente la mandò un po' di nascosto, senza i corazzieri...».
E voi tutti in fila sul marciapiede?
«Sì, e dalle finestre si affacciavano i compagni che con i teleobiettivi ci fotografavano».
C'erano i dirigenti del Msi al funerale?
«Sì, c'erano Almirante, Servello, mio padre, altri parlamentari, ma tutti missini, e tanti ragazzi».
Voi cosa chiedevate?
«Giustizia. Facemmo anche i manifesti: giustizia per Sergio: non vendetta».
Com'era il clima politico a Milano?
«Il clima era feroce: Uccidere un fascista non è reato, La riga rossa tra i capelli, Ci piace di più Almirante a testa in giù».
La famiglia Ramelli fu protetta?
«Macché. Il padre dovette vendere il bar, poi morì di crepacuore. Il fratello scappò da Milano. La sorella era piccola».
Com'erano i genitori di Sergio?
«Il padre lo ricordo poco. Morì poco dopo la morte del figlio. Con Anita, la mamma, il rapporto fu molto forte. Per me era una di famiglia. Avevo un rapporto filiale. Era una donna eccezionale. Aveva un'ossessione: che non succedesse più. Ogni volta ci diceva: state attenti, state attenti. Era buona, buona. Una bontà fuori dal comune».
Che colpa aveva Sergio Ramelli. Perché lo scelsero?
«Era un obiettivo facile per dimostrare che i fascisti vanno colpiti. Tutto qui. Non solo erano spietati. Erano vigliacchi.
Presidente, cosa furono gli anni Settanta a Milano?
«Era come a Belfast. Però a Belfast si sapeva che c'era la guerra civile, e tutta la popolazione era coinvolta. Da noi c'era la guerra civile che riguardava 20mila a sinistra e mille a destra, come certificò il rapporto del prefetto Mazza. Tra loro e noi c'era una sproporzione anche di retroterra. A sinistra c'era il potere, il cinema, la cultura. Noi eravamo soli».
Come fu il processo ai ragazzi di Avanguardia operaia, che nel frattempo erano diventati stimati professionisti?
«Dieci anni dopo. Fu bravissimo il giudice Guido Salvini. Partì da un pentito che gli disse che era stato il servizio d'ordine di Medicina di Avanguardia operaia. Indagò, interrogò, e alla fine trovò le confessioni».
Quando li presero erano persone diverse da 10 anni prima.
«Sì. Mi portarono una lettera alla mamma di Sergio nella quale chiedevano perdono».
Come rispose la signora Ramelli?
«Mamma Ramelli disse: avrei voluto che me la portassero prima».
Come andò il processo?
«Dissi al processo che noi non chiedevamo una pena, chiedevamo la condanna per omicidio volontario. La ottenemmo completa solo in secondo grado».
C'è stata la giustizia per Sergio?
«Sì. Per Sergio sì. A noi come a mamma Ramelli non interessava l'entità della pena, ma la verità. E in quel processo uscì almeno in parte la verità su cosa succedeva a Milano in quegli anni».
Le violenze rosse sono note. Ci furono anche violenze di estrema destra. Nel 1973 un agente di polizia fu ucciso da una bomba lanciata da un ragazzo che partecipava a un corteo di destra
«Certo che me lo ricordo. Fu per la destra un momento tragico. Tutto poteva volere il Msi meno che essere coinvolto nella morte di un agente».
Il Msi mise anche una taglia su chi aveva lanciato la bomba.
«Sì. E poi i due responsabili furono presi. Due ragazzi: Loi e Murelli».
Cosa vi diceva Almirante?
«Una sola volta disse: Se non ci difende lo Stato dobbiamo difenderci da soli. Però cercava in tutti i modi di allentare il clima. Poi, certo, violenza chiama violenza, e ci fu di sicuro anche violenza di destra. E soprattutto nacquero gruppi terroristi di destra. Che però non avevano una strategia come l'avevano le Br».
Parla dei Nar?
«Sì, dei Nar. Li hanno presi subito. Quando Almirante capì che c'era un terrorismo di destra, disse: per i terroristi chiediamo la pena di morte. Se sono di destra due pene di morte».
Che relazione c'era tra violenza di massa e terrorismo? Quando fu ucciso Ramelli le Br avevano ancora agito solo sporadicamente.
«Senza gli anni della violenza spranghista forse il terrorismo non sarebbe mai arrivato a quel livello. La lotta armata nasce dall'epoca delle spranghe. Ne è una prosecuzione»
Cosa volevano i terroristi rossi?
«La dittatura del proletariato».
E la violenza di destra?
«Era figlia di una reazione non di un progetto politico. Sullo stragismo invece non è ancora chiaro fino in fondo il coinvolgimento di apparati dello Stato e il peso della strategia degli opposti estremismi».
Il terrorismo politico è finito per sempre?
«Speriamo. Però meglio tenere gli occhi aperti».
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