
A soli 50 giorni dal suo insediamento, Donald Trump si trova a fare i conti con più di una crepa. Wall Street si mostra sempre più nervosa sulle possibili ricadute economiche della guerra commerciale innescata da presidente statunitense e anche tra gli elettori qualche certezza vacilla. Rispetto a un mese fa l'indice di gradimento di Trump risulta sostanzialmente stabile, a segnare un calo di ben 8 punti percentuali è invece l'approvazione verso le misure che sta portando avanti, in gran parte dovuta alla discesa dall'86% al 78% dell'approvazione tra i repubblicani stando a un sondaggio del Siena College. Tra i singoli dossier, emerge una grossa spaccatura sulle azioni messe in atto per mettere fine alla guerra in Ucraina (43% approva, il 51% no) e addirittura solo l'11% appoggia l'idea del Canada come 51/mo stato (il 68% è contrario).
L'incertezza sulle ricadute delle politiche di Trump sta tenendo sotto scacco soprattutto Wall Street, ieri protagonista di un tonfo guidato dai ribassi dei giganti tecnologici. A scatenare il nervosismo tra gli operatori della Borsa newyorkese sono state le parole dello stesso numero uno della Casa Bianca che non ha escluso la possibilità di una recessione degli Stati Uniti quest'anno, affermando che ci sarà un «periodo di transizione, perché quello che stiamo facendo è molto grande». A mettere in allerta il mercato è stato soprattutto il passaggio dell'intervista concessa a Fox News in cui il tycoon ha snobbato l'umore degli investitori. «Non posso guardare il mercato azionario», minimizzando la discesa della Borsa statunitense da quando si è insediato. Parole che sembrano rinnegare l'atteggiamento ammiccante verso il mercato che in passato ha contraddistinto Trump e che portava molti operatori a ritenere probabile un passo indietro sui dazi se la caduta di Wall Street dovesse aggravarsi. A pagare dazio ieri è stato in primis il settore tecnologico con il Nasdaq arrivato a cedere oltre il 4% bruciando oltre mille miliardi di valore, mentre l'S&P 500 (-3%) si è portato nei pressi dei minimi di cinque mesi. Gli strategist di Hsbc hanno declassato l'azionario statunitense citando proprio l'incertezza sui dazi (contestualmente ha promosso l'Europa sulla spinta che arriva dall'allentamento fiscale della Germania).
A New York tutti i giganti tech hanno arrancato con flessioni nell'ordine del 5% per Apple, Nvidia, Alphabet (Google) e Meta. A deragliare letteralmente è stata Tesla (-15%) con quotazioni più che dimezzate rispetto ai picchi di dicembre. Pesa il crollo delle vendite in Cina che aggrava le possibili ricadute negative sulle vendite a livello globale del gruppo automobilistico dell'attivismo politico di Elon Musk, che proprio ieri ha denunciato un «massiccio attacco informatico contro X» insinuando il coinvolgoimento di un gruppo grande e coordinato e/o un Paese.
Lunedì pesante anche per il Bitcoin, su cui il presidente statunitense si è speso con forza promettendo la creazione di una riserva strategica in criptovalute. Il prezzo del Bitcoin è caduto ai minimi da novembre sotto gli 80mila dollari (a gennaio aveva toccato un picco a 109mila). Sulle possibilità di una caduta recessiva gli analisti appaiono sempre più preoccupati.
«I rischi sono saliti notevolmente dopo il lancio delle politiche protezionistiche di Trump - argomenta Filippo Diodovich, senior market strategist di IG Italia - al momento le probabilità di recessione sono ancora ben inferiori al 50% visto che non abbiamo ancora valutato tutte le misure di Trump in particolare sui dazi».
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