Pechino si propone come soluzione. È parte del problema

L'esercito cinese e quell'offerta d'aiuto che potrebbe rivelarsi una trappola. E il nodo Taiwan

Pechino si propone come soluzione. È parte del problema
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Il mese scorso, alla Conferenza di Monaco, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi fece un'affermazione molto forte e pur non esplicitando a chi si riferisse chiara: «Alcuni Paesi credono che la forza basti per fare diritto e hanno aperto la strada alla legge della giungla».

A questa dichiarazione, il capo della diplomazia di Pechino fece seguire un aperto invito agli europei ad approfondire i rapporti con il suo Paese. Wang si riferiva al nuovo corso americano dell'amministrazione Trump, che si caratterizza in primo luogo per un'ampia apertura di credito alla Russia di Vladimir Putin (ma questo il ministro cinese lo ha lasciato sullo sfondo: la materia è complessa). Ed è indubbio che l'avvicinamento di Trump a Putin, unito al palese raffreddamento dei rapporti con l'Europa e con la Nato, rischia di far ritenere agli europei che gli Stati Uniti siano diventati più pericolosi della Cina, che infatti cerca di proporsi come il più credibile garante delle regole internazionali, o che comunque valga la pena di riconsiderare scenari dati per immutabili.

Nel momento in cui Pechino sonda la disponibilità di Bruxelles ad accogliere la sua candidatura a partecipare a una forza militare «dei volenterosi» a garanzia della sicurezza dell'Ucraina dopo un eventuale cessate il fuoco, l'invito di Wang è di fatto rilanciato: la Cina si propone agli europei come parte attiva di una soluzione del conflitto. Chi ritiene che questo ruolo possa essere effettivamente svolto da Pechino, magari anche su un piano diplomatico, argomenta così: la Cina sarebbe in grado di influenzare la Russia perché è diventata il suo partner economico insostituibile e perché teme un suo eccessivo avvicinamento agli Stati Uniti e infine, siccome sostiene il rispetto dell'integrità territoriale di ogni Paese, godrebbe del rispetto di Kiev.

Sarebbe dunque interesse sia degli ucraini sia degli europei favorire un ruolo della Cina che metta alla prova la sua credibilità come attore globale, che è qualcosa cui Xi Jinping tiene moltissimo. Più che la soluzione del problema Ucraina, però, andrebbe ricordato che la Cina ne è parte, essendo chiaramente schierata dalla parte della Russia. Che Pechino possa svolgere un ruolo genuinamente costruttivo per la gestione del post-conflitto è peggio che un'illusione: è una trappola da evitare.

La Cina ha dimostrato di non essere parte neutrale già due anni fa, quando presentò un suo strombazzato «piano di pace in 12 punti» nettamente sbilanciato in favore di Mosca. Invitando i suoi militari a garantire la sicurezza dell'Ucraina, si regalerebbe a Xi un ruolo immeritato e senza precedenti anche in tema di sicurezza europea.

Quanto alla posizione cinese di rispetto dell'integrità territoriale di tutti i Paesi, essa è parolaia e strumentale, infatti Pechino non chiede il ritiro russo dai territori ucraini occupati. A Xi interessa semmai che venga rispettata da tutti la sua pretesa che Taiwan sia un'intoccabile parte del suo territorio nazionale e quindi una «questione interna cinese» da gestire con la forza quando verrà il momento esattamente come Putin ha fatto con l'Ucraina la cui sovranità non rispetta.

Quella di Taiwan, inoltre, è in sé una buona ragione per tenere i cinesi lontani dall'Ucraina, perché rappresenterebbe un incoraggiamento a seguire la via di Putin: la forza non deve pagare, proprio come ha detto Wang Yi a Monaco con altri intenti.

In questi tre anni la Cina non ha fatto nulla per contenere l'azione militare di Putin in Ucraina. E questo perché la relazione russo-cinese è strategica e basata sulla contrapposizione all'Occidente, andando quindi ben oltre la contingenza del conflitto. Questa relazione specialissima, esaltata decine di volte dai due leader, è stata però rinforzata dalla guerra, che ha fornito a Xi l'occasione di sostenere Mosca contro le sanzioni occidentali, e di aiutarla a ricostruire le basi della sua industria militare.

L'unico limite osservato da Pechino è stato il mancato inoltro diretto di armi letali, essendo stata minacciata di dure conseguenze dall'ex presidente Usa Joe Biden. Sottobanco però, tramite l'invio di beni «dual use», il sostegno cinese alla guerra russa d'aggressione non si è mai interrotto.

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