"Da sempre con Fede nella tana delle tigri per lo sci del futuro"

Il tecnico che segue la Brignone in estate «A 13 anni si divertiva, oggi i bambini...»

"Da sempre con Fede nella tana delle tigri per lo sci del futuro"
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«Fare proposte e non polemiche». Aprire una riflessione perché di Federica (Brignone) ce n'è una, ma come usa dire Roma non è stata costruita in un giorno. Federico Colli, classe 1979, una laurea alla Bocconi, segue la campionessa di La Salle fin dal 2015: per 14 settimane, fra primavera ed estate, è lui a plasmare forze, muscoli e tempra di Fede. «Ed anche a frenarla, quando serve», spiega Colli, che è allenatore federale di III Livello, sciatore estremo che, da anni, ha creato la tana delle tigri un team che ha incluso anche Raffaella Brutto.

Una qualità di Federica?

«Umiltà, volontà ed energia infinita, da cui va anche protetta, perché tende a strafare».

Tutti festeggiamo, ma oltre a lei e pochi big, lo sci azzurro non è una valanga di risultati.

«Negli ultimi 10 anni lo sci ha avuto tre punte: Fede, Goggia e Paris che non sono solo progetti federali ma hanno un pool di professionisti a disposizione».

E dopo i Giochi 2026 l'orizzonte non è né roseo né azzurro...

«Il discorso è ampio: non ci sono colpe solo da una parte. È il sistema che andrebbe ripensato».

Partiamo da cuccioli e children.

«Brignone è figlia degli anni' 90, è esplosa a 13 anni, prima gareggiava per divertirsi. Dalla classe 2000 in poi c'è stata solo esasperazione: si dà troppo peso alle gare, trascurando la crescita motoria. Vedo bambini di 6-7 anni con 10 gare ad inverno, zaini più grandi di loro e 14 paia di sci. Però fuori dai pali non fanno nemmeno una curva in neve fresca».

La situazione peggiora con l'adolescenza e le categorie allievi e giovani?

«Ci sono due tendenze: chi continua a fare agonismo con l'unico obiettivo di diventare maestro di sci, per avere un pezzo di carta. Chi invece vuole davvero gareggiare entra in loop che lo sfinisce. Troppe gare, fino a 65 l'anno, solo per inseguire i punti. Per dire: Brignone gareggia molto meno».

La scuola e i genitori non aiutano

«In realtà oggi se sei volenteroso, fra Dad, ski college e programmi ad hoc del ministero, c'è più interazione fra scuola e agonismo. Non siamo ai livelli dei college americani, ma le cose sono migliorate. I genitori vogliono vedere ripagati i loro sforzi, ma il problema è un altro».

Quale?

«Che i ragazzi abbandonano perché si fanno molto male da giovani, gareggiando con troppa intensità, senza adeguati recuperi, portando al limite il loro fisico. Si esauriscono nel momento in cui dovrebbero sbocciare».

Ma cosa non funziona?

«Voler avere iscritti e non garantire un percorso idoneo alle forze e alla loro età».

Un team privato ci salverà, come Lara Colturi, italiana d'Albania?

«Da piccoli non serve. Nel caso di Lara, i genitori, che ben conoscono questo sistema, hanno deciso di evitarle queste criticità. Sforzo economico che non tutti possono sostenere».

Quale può essere la soluzione?

«Studiare Svizzera o Norvegia che hanno grande vivaio. L'Italia sforna ottimi tecnici che poi però lavorano più all'estero: domandiamoci perché».

Perché lancia ora il suo grido di allarme?

«In tanti mi hanno detto: è una battaglia persa, ma sono giovane e voglio provare a combatterla».

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