Il 21 aprile 1914 è una data che incrocia musica e storia della cultura: il Dal Verme ospitava il Grande concerto futurista d'intonarumori. A esibirsi era un'orchestra di 18 intonarumori divisi fra gorgogliatori, crepitatori, ululatori, rombatori, scoppiatori, sibilatori, ronzatori, stropicciatori e scrosciatori. Il concerto era diviso in tre movimenti: Il risveglio di una città, Si pranza sulla terrazza del Kursaal, Convegno d'aeroplani e di automobili. Il tutto firmato da Luigi Russolo, compositore, pittore, incisore, esoterista e studioso di filosofia orientale. Il padre del Futurismo, Filippo Tommaso Marinetti, aveva consegnato il manifesto del Futurismo alle colonne de Le Figaro cinque anni prima. E Francesco Balilla Pratella aveva vergato il primo manifesto dei musicisti futuristi nel 1910. Parole in entrambi i casi mirabolanti ma - di fatto - la musica era poco ardita. Questo fino alla serata milanese di Russolo (nella foto in alto con i suoi strumenti) che nel frattempo aveva condotto ricerche sul suono-rumore così da cantare veramente la potenza delle macchine, l'ebbrezza della guerra e il dinamismo delle metropoli come vuole la poetica del movimento.
La filosofia di base non poteva essere più chiara: basta con Beethoven e Wagner, compositori che «ci hanno squassato i nervi e il cuore per molti anni. Ora ne siamo sazi e godiamo molto più nel combinare idealmente dei rumori del tram, di motori a scoppio, di carrozze e folle vocianti», scriveva Russolo.
Come capita a quasi tutte le sperimentazioni e rivoluzioni del pensiero l'esordio non fu
facile. Il concerto finì con lanci d'ortaggi e scontri fra spettatori e ideatori del progetto, ci furono contusi, feriti e interventi delle Forze dell'ordine. Anche per questo i Futuristi si dichiararono più che soddisfatti.
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