Le acquisizioni del Mart si mettono in mostra

Opere di otto autori arricchiscono il museo trentino. Che ora le espone nei suoi spazi

La ricchezza e la potenza di un museo si mostrano nelle sue collezioni. Il Mart di Rovereto è partito magro nei suoi amplissimi spazi, e si è via via arricchito. Nel corso degli anni, con le opere di proprietà della Provincia, ha raccolto donazioni e affidamenti fino a essere uno dei musei di arte moderna più ricco di opere. Poche esposte, moltissime nei depositi, utili in occasione delle mostre per scambi e prestiti. La mia presidenza si è distinta anche per l'incremento degli acquisti che intensificano e allargano gli interessi. È dunque con soddisfazione che ho voluto rendere note queste importanti acquisizioni, esponendole nel percorso del museo.

Si inizia con un singolarissimo Giovanni Fattori, pittore che era assente nelle collezioni e che è forse il maestro più rappresentativo della pittura italiana dopo l'Unità d'Italia, di cui ha illustrato l'epopea. Di dimensioni grandi e insolitamente verticali, il paesaggio con i Buoi al tramonto è un esercizio singolarmente virtuosistico e originalmente sperimentale, con una composizione araldica e una superficie smaltata. Una soluzione insolita e ariosa, nel genere del paesaggio puro, con uno slancio inconsueto. Il risultato magistrale elude ogni descrittivismo per una quasi inconscia vocazione simbolista, di grande eleganza.

Di gusto internazionale, in pieno simbolismo, è certamente la Danzatrice di Franz von Stuck, concepita nel 1897-1898, in piena Secessione di Monaco e nell'anno in cui l'artista sposò Mary Lindpaintner. La scultura rientra nel progetto di villa Stuck, la preziosa casa-atelier concepita e fatta costruire dallo stesso artista in un imponente stile neoclassico. Stuck ideò sia le forme architettoniche, ispirate a un dipinto di Böcklin, Villa sul mare, sia le decorazioni interne, mobili, quadri e sculture, per le quali ebbe la medaglia d'oro all'Esposizione Universale di Parigi del 1900. Degno di nota è che la scultura, esposta nella mostra dedicata dal Mart a Isadora Duncan, dialoghi con le opere trentine di Luigi Bonazza, che studiò a Vienna in quegli stessi anni.

Preziosa e perlacea è la veduta di Bartolomeo Bezzi Poesia del fiume - Verona, con l'effetto quasi monocromo di una giornata grigia di nebbia. Un dipinto poeticissimo ed evocativo che rifugge da ogni compiacimento per esprimere uno stato d'animo di ansia e di turbamento. La sua esecuzione corrisponde al momento della crisi nervosa che colpì il pittore dal 1914. Certo non appariscente e descrittiva, la veduta di Bezzi risale alle visioni nebbiose di Turner, con un'atmosfera che è affine a quella dei paesaggi di Nolde e Permeke, intercettando una vocazione nordica assai insolita nel vedutismo italiano. L'opera appare significativa e utile nella prospettiva delle celebrazioni del centenario della morte del pittore, nel 2023.

Assai importante e notevole, di un altro artista assente nelle collezioni, è la grande scultura di Libero Andreotti, Perdono (gruppo tragico), plasmata sui due lati. Fondamentale testimonianza dei rapporti fra lo scultore e Ugo Ojetti nel momento germinale (1921) del ritorno all'ordine, che caratterizza il terzo decennio del secolo. Il ripensamento della scultura italiana quattrocentesca indica una strada percorsa con diversi esiti, negli stessi anni, da Arturo Martini. Segnalo che, in occasione della prima mostra monografica moderna dell'artista, da me curata nel 1993 al Castello della Mesola, intercettai il gesso della scultura, singolarmente patinato in oro, di cui non conosco l'attuale ubicazione. Il bronzo ha una concentrata potenza nel gesto della madre che accoglie la figlia pentita. Da un parte vediamo il cane, presenza domestica amica; dall'altra, con vivida suggestione evocativa, «il bimbo che nascerà», come scrive lo stesso Ojetti, «si pianta già in piedi tra le due donne, riempie col suo corpicino grasso e prospero, con le sue braccine alte, col suo volto rotondo e ridente, il vuoto tra le due gonne». E aggiunge, convinto della originalità della invenzione: «Qualche eccessiva durezza nel volto della vecchia e del bambino non diminuiscono la continuità della linea e la poesia di quest'opera dove gli elementi narrativi e quelli plastici si equilibrano classicamente». In realtà si tratta di una poderosa impresa anticlassica, in quegli anni, forse per la viva suggestione di Bourdelle, incrociata con la tradizione italiana di Jacopo della Quercia.

Un altro tema familiare, ma senza la potenza del dramma, è il Ritratto di Marcella Rossellini di Arturo Noci (1922). Il meraviglioso fondo, vagamente ispirato alle cineserie, contro cui posa la ragazzina vestita di bianco, con il suo cane, arricchisce poeticamente una delle più alte invenzioni del pittore, e indica la sua convinta attenzione per Klimt, fino a muoversi nella scia della sua produzione tarda. La ritrattata è Marcella Rossellini, sorella del celebre regista Roberto, e, fuori da ogni stile e tendenza, ha una inconsueta modernità borghese, una pulizia formale che anticipa naturalmente, senza intenti programmatici, il Novecento della Sarfatti e il Realismo magico, con disarmante semplicità. Il Mart sta preparando una mostra sulla fortuna in Italia del grande pittore austriaco, in cui quest'opera sarà sommamente rappresentativa.

Nello stesso spirito conquista fin da ora lo spazio nelle collezioni permanenti il grande e meraviglioso pannello decorativo con la facciata della Basilica di San Marco di Guido Marussig, destinato alla casa torinese del pittore Golia, ceramista e amico dell'artista triestino. Capolavoro di altissima decorazione, a metà strada fra il gusto di Klimt e Zecchin e quello dannunziano, il dipinto scintillante trasferisce nel sogno di una notte l'incanto di Venezia.

Una fortunata circostanza ha portato al Mart anche le due bellissime nature morte musicali del fratello di Guido Marussig, Piero, che accompagnano la riscoperta del Seicento italiano, seguita alla mostra di Palazzo Pitti nel 1922, nel clima che porterà in quegli anni alla riscoperta di Caravaggio. Nel gruppo degli artisti di Novecento, Marussig si mostra il più sensibile a una pittura di ispirazione antiquariale, muovendosi nello spirito di Cristoforo Munari ed Evaristo Baschenis. Sempre di Marussig si è acquisito il disegno preparatorio del dipinto Autunno, appartenente alla collezione del Mart.

Chiude la serie degli acquisti una scultura potente e antiretorica, in pieno fascismo, come la Testa di boxeur del grande e dimenticato scultore Romeo Gregori. Una delle più originali ed espressive sculture degli anni Trenta. È un pugile suonato, «efficace controcanto all'esaltazione dell'attività sportiva e della perfezione fisica messa in atto dal regime come strumento di propaganda» (Beatrice Avanzi).

In anni lontanissimi, a Vicenza, in una mostra dedicata a Mario Mirko Vucetich che aveva condiviso lo studio in villa Strohl-Fern con Gregori, riconobbi un esemplare della singolare scultura che aveva perduto l'identità dell'autore, e che è ora nella Fondazione Cavallini-Sgarbi. Non potevo immaginare che il destino mi avrebbe consentito di trovarne un'altra versione per il Mart, a testimoniare la grandezza nascosta di un artista sommerso.

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