Ci mancava anche questa. Il povero Adriano, stavolta povero davvero, è finito nella trappola di una guerra tra poteri forti, che somiglia tanto ad una faida interna. La commissione disciplinare gli ha revocato la squalifica di due giornate per il famoso schiaffo-manata a Grandoni ed allora il procuratore federale ha presentato ricorso alla Caf, che lo esaminerà oggi. È chiaro che qui il destino di Adriano interessa poco a tutti ed anche loggettività del caso: la Tv dimostra con buona dose di certezza che lo schiaffo è finito sulla mano del difensore del Livorno, il giocatore stesso ieri ha rispiegato la meccanica: «Alzo la mano allaltezza del viso per dirgli: cosa stai facendo? E lui si avvicina per darmi lo schiaffo dicendomi: tieni giù le mani. Quindi è escluso che volesse colpirmi al viso. Il gesto di girarmi è stato istintivo e forse può trarre in inganno. Non ho ragione di mentire».
Ma il problema ormai non è lo schiaffo sì-schiaffo no, piuttosto chi la vince: il giudice Laudi che ha esagerato con i cavilli o la disciplinare che gli ha suggerito (a futura memoria) di non esagerare, soprattutto quando non si hanno certezze? Naturalmente il procuratore sta dalla parte di Laudi, essendo stato lispiratore di un ridicolo (ha detto Moratti azzeccandoci) provvedimento. Ed allora ha fatto sapere che latto è violento, a differenza di quanto pensa la disciplinare, che la distinzione di merito va posta tra schiaffo (atto violento) e manata (atto non violento) e che è irrilevante decidere se Adriano abbia colpito il volto o la mano. Ovviamente la testimonianza di Grandoni non viene considerata. E limpressione dellaccanimento, non terapeutico, si fa sempre più consistente.
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